lunedì 28 marzo 2011

Che cos’è il Craniosacrale


Che cos’è il Craniosacrale



Che cos’è il Craniosacrale
Tecnica manuale dolce e non invasiva, nata dalle intuizioni dell’osteopata William Garner Sutherland, la disciplina Craniosacrale si è evoluta in un trattamento che riconosce le profonde capacità di autoguarigione del corpo.
Ancora studente alla facoltà di osteopatia, Sutherland scoprì che il cranio e tutto ciò che contiene è progettato per il movimento respiratorio. In cinquant’anni di ricerche Sutherland continuò ad approfondire l’esplorazione di quello che oggi è chiamato il Sistema Respiratorio Primario, arrivando a definire un sistema a molti livelli che respira autonomamente a partire da una potenza più profonda che agisce all’interno dei fluidi corporei. Sutherland chiamò “Respiro della Vita” questa forza che ci anima. Il ritmo vitale della respirazione polmonare diventò secondario rispetto alla Respirazione Primaria, un movimento involontario che anima tutte le cellule del nostro corpo, intese come un’unità di funzione.
Siamo costituiti al 70 % da liquidi, la nostra vita embrionale si forma nei fluidi e la nostra salute nasce dalla loro libera espressione. Se consideriamo i fluidi del corpo come un organismo unico possiamo comprendere l’idea che il nostro corpo dei fluidi (il sangue, la linfa, il liquido cefalorachidiano, la matrice fluida intra ed extra cellulare) sia attraversato da correnti e maree.
E’ così che la lesione, il disagio, la stessa malattia, si manifestano come una limitazione alla libera circolazione fluida e un’alterazione dei nostri ritmi innati.
Il Craniosacrale è una pratica di contatto profondo con il sistema della persona che ha il potenziale di facilitare la connessione con la saggezza guaritrice intrinseca del corpo. Questa disciplina opera allo scopo di preservare, consolidare e favorire lo stato di salute e benessere della persona, considerata nella sua globalità somatica: fisica, emozionale ed energetica. È un approccio olistico che promuove la salute, cooperando con le risorse presenti nel sistema dell’essere umano.

Cenni storici
L’osteopata A.T. Still (1828-1917) alla fine del 1800, e in seguito il suo allievo Dr. W.G. Sutherland (1873-1954), riconobbero la presenza e fon­damentale importanza di sottili impulsi ritmici nella fisiologia e ne studiarono la profonda relazione con la salute e la malattia.
Il Dr. Sutherland a seguito di una lunga e minuziosa ricerca re­alizzò che il movimento delle ossa craniali è indissolubilmente connesso al movimento ritmico di tessuti e fluidi al centro del corpo, quali il liquido cerebrospinale, il sistema nervoso centrale, le membrane che circondano e suddividono il sistema nervoso centrale, le ossa del cranio e l’osso sacro.
Grandi luminari come il Dr. Rollin E. Becker (1919-1996) e Viola Fryman  svilupparono successivamente il Concetto Craniale di Sutherland e condussero una vasta ricerca e pratica clinica convalidando il tipo di approccio e la sua efficacia. Fu solo negli anni ‘70 che il Dr. Upledger, sulle tracce dei suoi predecessori, divulgò ad un pubblico non-medico la disci­plina di trattamento del corpo che oggi viene chiamata tera­pia craniosacrale.
Importanti ricercatori e praticanti dagli anni ‘80 a oggi, come Franklyn Sills, Michael Kern e Michael Shea ed altri, hanno sviluppato la terapia craniosacrale classica per fondare una modalità di lavoro definita: craniosacrale biodinamico.

Craniosacrale Biomeccanico e Biodinamico

Sutherland, osteopata, scoprì e sviluppò il Concetto Craniale. Da vero scienziato somatico egli impiegò diversi  anni per comprendere questo movimento intrinseco che interessa tutto il Sistema Respiratorio Primario, sperimentandolo sul proprio corpo. L’evoluzione del suo lavoro si è nel tempo polarizzata in due modelli distinti ma interconnessi: uno è il modello biomeccanico, l’altro quello biodinamico.
L’approccio biomeccanico è caratterizzato dall’ascolto del Ritmo Cranio Sacrale da un punto di vista maggiormente strutturale, per cercare di individuare le anomalie del sistema e poi ripristinarle.
L’approccio biodinamicosi rivolge più alla percezione della Quiete Dinamica e ai suoi effetti sulla Marea Lunga e sulla Marea Media: ritmi più lenti e profondi, che organizzano il ritmo più superficiale e sono portatori di un’intenzione innata alla salute. Questi ritmi si manifestano sin dalla fase embrionale, accompagnando lo sviluppo e l’organizzazione dell’essere umano in un progetto di salute.
Il termine ‘biodinamico’ era già stato utilizzato dall’embriologo tedesco Eric Blechschmidt riferendosi alle forze dei fluidi dell’embrione che portano ordine e organizzazione.
Biodinamica significa ‘integrità’, interezza. Dal punto di vista della terapia craniosacrale biodinamica, l’integrità non è una teoria: è piuttosto il movimento della Respirazione Primaria. Il termine ‘biodinamico’ implica una qualità essenziale o “un’originalità”, come diceva Blechschmidt, che si osserva, in particolare, nei primi stadi dello sviluppo embrionale. Questo si riferisce ad una integrità, una completezza, che si presenta nell’embrione prima che si sviluppino le singole parti, e l’integrità rimane costante per tutta la vita. L’integrità è rappresentata dal movimento della Respirazione Primaria.
L’approccio craniosacrale biodinamico è orientato a contattare e stimolare la forza della salute piuttosto che a focalizzarsi esclusivamente sui problemi delle persone. Si rivolge alla percezione dei ritmi e flussi dell’energia vitale più lenti e profondi. Nell’approccio Biodinamico del lavoro craniosacrale questi ritmi, chiamati “Respirazione Primaria”, rappresentano la fondamentale espressione della nostra salute e vitalità. Attraverso una modalità di contatto non-direttiva, orientata al sostegno, all’ascolto profondo e a una qualità di presenza appropriata, viene ripristinata una connessione con questi ritmi naturali a favore di un ri-equilibrio.
Fonte: Craniosacrale.it

mercoledì 16 marzo 2011

Salute, benessere e bellezza


Salute, benessere e bellezza commenti

Salute, benessere e bellezza
“La bellezza salverà il mondo”
Fëdor Dostoevskij
Lo scorso giugno si è svolto a Roma il secondo Congresso Nazionale di Medicina Osteopatica il cui tema era “L’incontro tra Medicina e Osteopatia, verso una Medicina Sistemica”. In quella occasione ho avuto il piacere e l’onore di presentare Viola Frymann, che nel suo intervento tra le altre cose ha detto: “Dobbiamo riconoscere la innata capacità intrinseca che ognuno ha nella sua totalità, che permette di superare la malattia e di mantenere la salute, e dobbiamo insegnare ai medici a cooperare con questa potenza terapeutica in tutti i loro programmi di trattamento”.
Sono rimasto colpito da questa affermazione che ha continuato a risuonare dentro di me in quei tre giorni del congresso, facendomi riflettere sul senso che viene attribuito alla cura e alla Salute. Mi si presentava continuamente un’immagine di tre grandi porte, diversi accessi verso tre regni: sulla prima porta c’era scritto “medicina ufficiale”, sul secondo ingresso c’era la targhetta del “centro benessere” e sul terzo c’era una frase a me cara: “master of yourself”, sii maestro di te stesso.
La clinica, l’ospedale, il trattamento medico, è considerato il primo ambito di cura della salute o meglio della malattia, spero sempre di non averne mai bisogno, ma evidentemente è necessario. Qui io sono l’oggetto della cura e come scrive Su Fox nell’articolo “Cranial Connections” proposto in questo numero: “Il riduzionismo e il rapporto di causa-effetto, insieme al dualismo e al meccanicismo, sono i concetti che puntellano il nostro modello biomedico tradizionale. All’interno di questo modello, la persona è vista solamente come un organismo biologico, e i pensieri, le emozioni e i significati del corpo, o la sua sintomatologia, non hanno alcun posto.”
Poi c’è il centro benessere (ambito in cui letteralmente sono immerso ora, dopo averlo progettato per anni lo sto realizzando concretamente qui, a Norma) dove mi prendo cura della mia salute, in modo preventivo e curativo. Questa è una mia scelta più attiva e desiderata (non vedo l’ora di andare a farmi trattare in un centro, fare una pausa e prendermi cura di me), sono io che decido di più, sono meno oggetto e più soggetto. Nel centro benessere (o in spazi analoghi, fino allo studio del mio terapista corporeo) in qualche modo collaboro con l’idea di salute, anche se spesso la risorsa proposta è esterna, (la bellezza esteriore) e il mio prendermi cura, talvolta, è come indossare un nuovo abito…che non dura molto.
Dietro la frase “be the master of yourself” c’è invece l’idea di un percorso che va verso la salute, quello per esempio descritto nei libri di Tiziano Terzani, o ben sintetizzato ironicamente dall’americana Kriss Carr nel titolo del suo libro “Ho il cancro, vado a comprarmi un rossetto”. Il percorso verso la salute implica una mia personale responsabilità, mi metto in gioco, non ho la malattia ma la malattia è lì con me per dirmi qualcosa, e sarà interessante scoprirlo. Inoltre in questo percorso la Salute non scaturisce necessariamente dalla patologia, ma è più intesa in chiave esistenziale.
E’ qui che si colloca il ruolo dell’educazione che mi piace definire “Somatica”, dell’operatore craniosacrale e/o di tutti quelli che non lavorano sulla malattia ma sulla capacità intrinseca di superarla. Lavorare con le risorse del paziente/cliente è un altro ambito, implica un’educazione e una corresponsabilità non offerte dai primi due.
Ovvero: “L’arte e la scienza degli educatori somatici non si concentra sulla patologia, sui sintomi, sulla eziologia e sulla guarigione, ma piuttosto sul processo di apprendimento senso-motorio, sullo sviluppo del potenziale cinestetico, e sulla scoperta delle migliori opzioni strategiche in movimento” (Tratto da: Joly Y. “The experience of being embodied: Qualitative Research and Somatic Education”).
Nel recente incontro al Senato della Repubblica, l’Associazione delle Arti per la Salute che riunisce al suo interno le associazioni nazionali di varie biodiscipline (quali: Shiatsu, Riflessologia del piede, Ortho-Bionomy, Craniosacrale, Tai Chi, Essenze Floreali, Watsu e Kinesiologia), ha sottolineato un suo distinguo rispetto alle “medicine alternative o complementari” e si è definita come “Arte per la Salute”, proprio in quanto le diverse discipline si pongono, operativamente, nel generale campo della salute e del benessere e fuori dal campo strettamente medico.
L’accento sul non-medico è anche frutto del fatto paradossale che il Ministero della Salute non ha mai voluto neanche incontrare i rappresentanti del settore, non si è mai posto come loro interfaccia, tanto è che si prospettano altri collegamenti come quello con il Ministero del Wellfare.
Abbiamo qui due movimenti diversi: l’Osteopatia che cerca il dialogo e il confronto con il mondo medico, e l’Associazione delle Arti della Salute che è orientata a cercare un proprio spazio nel mondo del benessere.
Intendiamoci il progetto di integrazione rimane il naturale obbiettivo culturale e storico, ma, nella fase attuale del “Chi Siamo”, quello che ci permette oggi di sottolineare l’innata capacità intrinseca del mantenimento della Salute, è la dimensione non solo del confronto con la medicina, i suoi strumenti e i suoi risultati, ma la definizione del concetto di Salute all’interno di uno spazio dedicato al benessere, alle risorse, e in qualche modo alla Bellezza.
Ray Castellino nell’intervista pubblicata per la prima volta in Italia, qui nella nostra rivista, dichiara: “Il nostro è un movimento di Rinascimento dei nostri tempi. Stiamo integrando tantissimo da così tante discipline diverse. E’ un tempo molto ricco”.
Quello che sto cercando di condividere è che a prescindere dalla querelle che sembra senza fine sulla questione del riconoscimento istituzionale della nostra professionalità, in quanto “artisti della salute” o “operatori di discipline bionaturali, complementari o alternative” siamo comunque persone che portano in primo piano l’idea dell’educazione somatica, vale a dire la capacità umana di imparare a trasformare tutti i processi di vita di un individuo: dal punto di vista fisiologico, psicologico, emozionale e della coscienza.
Possiamo e dobbiamo operare, talvolta negli stessi spazi, talvolta negli stessi ambiti, degli altri “due reami”, poiché il nostro territorio è quello del “reame di mezzo”, un territorio di confine, e come tale sottoposto al dialogo, al confronto, alla sfida di creare sempre ricchezza, poiché la Bellezza del nostro tempo di Rinascimento è quella indicata da Ralph Waldo Emerson: “Anche se giriamo il mondo in cerca di ciò che è bello, o lo portiamo già in noi, o non lo troveremo” .
Silvio Mottarella, presidente A.P.O.S, riflettendo su cosa significa oggi la relazione terapeutica scrive: “Possiamo allora lavorare partendo dal trauma stando dalla parte della malattia, oppure, al contrario, dalle risorse che stanno sul fronte della salute. Ma in entrambi i casi se non si cambia il pensiero che sta alla base, non si generano cambiamenti sostanziali. Abbiamo allora tecniche più immediate e risolutive che mirano all’eliminazione del sintomo e tecniche più rispettose che vogliono amplificare la salute e quindi togliere spazio alla malattia. Che sia testa o croce, la moneta rimane la stessa: il conflitto”. (da shiatzu-do)
E’ come se la relazione terapeutica, orientata per definizione alla salute, stesse cercando una terza condizione. Una terza via che nell’alternanza insita in ogni processo di trasformazione, non sceglie il conflitto e la lotta, tra quali significati dare alla salute, al benessere e alla bellezza. Esserci e stare, osservare e riconoscere, con la nostra presenza e consapevolezza del Respiro della Vita in noi e negli altri, ci permette di rispettare, non giudicare e accogliere. Questo significa scegliere di accompagnare e testimoniare la trasformazione dello sguardo e quindi dell’atteggiamento.
Sento in questa mia condivisione il sottofondo delle parole di Jaap van der Waal: “Nel pensiero polare la vita è nel mezzo e le polarità sono gli estremi. Gli estremi, le polarità, sono la patologia. La vita, la guarigione e la salute sono nel mezzo. Per questo cercheremo la qualità del mezzo nei cicli e nei ritmi, lì c’è la salute e la vita”.
Fonte: Craniosacrale.it

venerdì 11 marzo 2011


Osteopatia e sport 

Gli osteopati sono specializzati nel trattamento di infortuni da sport.
I due seguenti esempi illustrano l’abilità dell’osteopata non solo di trattare i problemi muscolo-scheletrici “difficili”, ma anche di capire, diagnosticare e trattare il corpo nel suo insieme. Queste caratteristiche possono fare tutta la differenza nella guarigione e nel fare ritornare le persone in forma.
Esempi:
1. Un uomo sulla cinquantina, corridore professionista, ha presentato un ricorrente dolore al polpaccio nella gamba destra. Dopo essere stato visitato da molti terapeuti, ha consultato un osteopata rintracciando l’origine del problema nel cambio di lavoro avvenuto due anni prima, scoprendo la causa del suo malessere, ovvero lo stare in piedi per molto tempo. Un'esame ha in effetti rivelato la sua tendenza a stare in piedi con la gamba destra leggermente piegata, determinando così il progressivo accorciamento del muscolo del polpaccio destro. L’osteopatia gli ha permesso di  stare in piedi in modo più simmetrico,  in modo da ridurre la tensione sul polpaccio in esame, prescrivendogli inoltre un esercizio mirato di stretching che lo ha condotto alla guarigione rapida dal dolore.
2. Una donna di quarant’anni, tennista, era affetta da  forte “gomito del tennista” da sei mesi. Era preoccupata per l'acutizzarsi del dolore e anche perché, in molti casi simili, molte persone hanno dovuto smettere di fare sport. Il suo osteopata ha scoperto la bassissima rotazione della sua colonna spinale e anche la tensione dei muscoli delle spalle.
Sostanziali miglioramenti sono stati determinati dai trattamenti al gomito ed al collo (da dove aumenta la fornitura del nervo al gomito).  Con il trattamento osteopatico la mobilità della sua spalla e della parte alta della schiena è aumentata in modo sostanziale.

Una vita da sportivi: linee guida

Se state iniziando una nuova attività sportiva, che sia l’aerobica oppure il calcio, chiedete consiglio ad un istruttore, ad un allenatore, oppure ad un maestro.  Potrete in seguito pianificare il vostro programma in modo da svilupparlo parallelamente all’abilità e alla resistenza del vostro corpo.
Assicuratevi di “riscaldarvi”  (e di fare stretching) prima e dopo l'attività sportiva. Questo spesso non viene fatto in modo corretto. Se non siete sicuri, chiedete ad un esperto !Se sentite dolore ma non siete sicuri della sua gravità , chiedete urgentemente un consiglio medico.
Altrimenti ricordatevi la parola PRICAD (importante in modo particolare per dolori al braccio ed alla gamba):
Prevenzione (perché è sempre meglio evitare di farsi male preparandosi in modo adeguato)
Riposo (per evitare ulteriori danni)
Ice (ghiacchio) sulla parte dolorante
Comprimere l’area  (in modo da minimizzare il gonfiore)
Alzare la parte dolorante (se è un arto) in modo da evitare il “drenaggio”
Diagnosi (è molto più facile sapere cosa fare con la parte dolorante se capite quale danno sia avvenuto)
Gli sportivi si rivolgono all'osteopata per svariati dolori, stiramenti e altri motivi che includono:
  • dolore nella zona lombare
  • danni ai muscoli e ai legamenti
  • dolore al ginocchio
  • danni alla spalla, al gomito e al polso
  • disturbi al piede e alla caviglia
Disturbi funzionali
  • ridotta flessibilità delle articolazioni (es. un golfista che non riesce più a ruotare bene come un tempo)
  • limitazioni meccaniche (es. un ginnasta che sta iniziando a trovare sempre più difficoltà nel fare la spaccata).
Danni da sfruttamento (usura)
  • gomito del tennista e del golfista
  • ginocchio del saltatore
  • tendosinovite e tendinite

Andare dall’osteopata

La prima volta che andrete allo studio dell’osteopata, egli vi chiederà nei dettagli la vostra storia (inclusi dettagli medici generici). Vi verrà solitamente chiesto di spogliarvi in parte in modo da  riuscire a fare un esame dettagliato sia funzionale che strutturale. Questo includerà una valutazione statica ed un  semplice test della mobilità per verificare in che modo il vostro corpo si relaziona meccanicamente al vostro disturbo. Probabilmente a questo punto l’osteopata focalizzerà l’attenzione sulla regione che sembra causare il problema. A quel punto, possono essere eseguiti esami clinici (tipo test neurologici e cardiovascolari).
Fonte: Tuttosteopatia.it

IL PARADOSSO DEL CALCIO 
Hanno fatto scalpore negli Usa le dichiarazioni, di recente rilasciate a Newsweek, da Walter Willet, capo della nutrizione della Scuola di salute pubblica dell'Università di Harvard.

"I paesi con più alte assunzioni di calcio" ha dichiarato lo studioso, "hanno le percentuali più alte di fratture; non le più basse". I grandi amanti di latte e formaggi, norvegesi, svedesi, americani hanno un'incidenza di fratture tra la popolazione di molte volte superiore a quella che si registra in Cina continentale, dove non si beve latte.

Così, Italia e Singapore, Francia e Giappone, hanno le stesse percentuali di incidenza di fratture, pur non essendoci latticini nelle tavole degli asiatici. Vuol dire che la salute delle ossa non dipende esclusivamente dalla quantità di calcio che assumiamo, ma da altri fattori: nutrizionali, comportamentali, altri legati agli ormoni e all'immunità.

Del resto sull'American Journal of Clinical Nutrition (febbraio 2003), il Graham Colditz, epidemiologo della Harvard Medical School di Boston, presentò i risultati di un'indagine che ha interessato oltre 70mila donne in post-menopausa, seguite per 18 anni con accurati controlli su dieta, uso di supplementi e alle fratture ossee intervenute.

Le conclusioni furono inappellabili:
"Né il latte né una dieta ad elevata quantità di calcio proteggono l'osso. Al contrario, un'adeguata assunzione di vitamina D riduce il rischio di fratture".

Conclusioni, che, tra l'altro, possono spiegare il mistero dei (pochi) studi positivi a favore del calcio: che hanno sempre utilizzato calcio e vitamina D insieme:
l'effetto favorevole potrebbe quindi dipendere dalla vitamina e non dal calcio.

Ora un nuovo tassello da inserire nel mosaico. Un lavoro tedesco, pubblicato recentemente sempre su American Journal of Clinical Nutrition, chiarisce che c'è un rapporto tra acidità e calcio fissato nelle ossa. Un sospetto non nuovo, ma ora ricercatori di Dortmund danno una prova definitiva, decidendo di studiare bambini e adolescenti ed eliminando ogni possibile equivoco relativo al buon funzionamento dei reni dei soggetti in studio: giovani sotto i 18 anni si presume li abbiano in buona forma.

Nei 229 ragazzi, studiati per 4 anni, è stato possibile dimostrare, con la tomografia computerizzata, che chi aveva un carico acido dietetico superiore aveva una minore contenuto di minerali nell'osso.
Inoltre, anche questo studio ha documentato che "un'assunzione a lungo termine di calcio non ha effetti significativi sull'osso".

Ma qual è il meccanismo con cui si realizza la perdita di calcio? Una dieta ricca di proteine animali (in carne e anche nei formaggi) è fortemente acidificante e costringe i reni a produrre un sovrappiù di sostanze tampone. In questo lavoro vengono sottratti calcio e altri minerali dalle ossa.

Di qui il "paradosso": un eccesso di calcio introdotto con una dieta ricca di formaggi può avere come effetto finale un eccesso di perdita di calcio dalle ossa. Ma il sistema per risolvere il paradosso c'è: aumentare la quantità di alimenti basici, in grado di tamponare l'acidità. (...)

[Tratto da La Salute di Repubblica - 2 febbraio 2006 - Francesco Bottaccioli]
Il Calcio non è di rigore
Preso sotto forma di integratori o supplementi, non serve per rafforzare le ossa. Funziona solo se assunto con i cibi.
Contro l’osteoporosi sono molte le donne che assumono integratori di calcio e vitamine, convinte che sia un buon modo per aumentare la densità ossea. Ma queste sostanze, prese in pillole, non sono così efficaci. L’unico rimedio per rafforzare le ossa è pensarci molto prima, mettendo in pratica, fin da giovani, uno stile di vita corretto. Lo hanno confermato gli esperti mondiali di osteoporosi riuniti Toronto, in Canada, per l’ultimo congresso mondiale dell’International osteoporosis foundation (Ifo).

Secondo uno studio presentato dalla Washington University di St. Louis, nel Missouri, le persone che assumono il calcio dagli integratori alimentari hanno un osso di qualità inferiore rispetto a quelle che lo assumono con gli alimenti, oppure che combinano pillole e cibi ricchi di calcio. Serve altrettanto poco integrare la dieta con la vitamina D, fondamentale per il metabolismo osseo, se l’organismo non ha a disposizione una scorta sufficiente di calcio, come hanno riferito al convegno esperti belgi e olandesi.

"Il calcio, che rende l’osso resistente alle fratture, viene integrato meglio se proviene dai cibi, fondamentalmente da latte e formaggi, ma anche da frutta secca, cereali, legumi, carne e pesce azzurro" spiega Lorenzo Panella, responsabile dell’unità operativa di riabilitazione dell’Irccs Humanitas di Rozzano.

L’effetto di una dieta corretta si manifesta soprattutto in età giovanile, quando il metabolismo dell’osso è più orientato alla costruzione del tessuto, come aggiunge l’esperto: "L’osso è la riserva di calcio dell’organismo: quando serve per qualche reazione metabolica viene smobilitato dal tessuto a opera di cellule chiamate osteoclasti; quando ce n’è abbastanza, invece, viene integrato nello scheletro dagli osteoblasti. Fino ai 40 anni prevale l’attività degli osteoblasti, dopo il metabolismo si inverte e l’osso viene lentamente consumato". Per questa ragione anche la vitamina D, che favorisce l’attività di costruzione, è utile solo se ci sono abbastanza “mattoni”, ovvero ioni calcio.

Ma l’alimentazione non è tutto: molto conta l’attività fisica, che influenza direttamente la struttura dell’osso. Al convegno canadese un gruppo di medici dell’Ohio ha presentato i risultati di uno studio che ha verificato qualità e densità dell’osso in bambini e ragazzi tra 8 e 18 anni, di entrambi i sessi. I giovani che praticano sport hanno un osso di migliore qualità e più denso, in particolare durante l’adolescenza.
Cominciare non basta, bisogna anche essere perseveranti: un gruppo di medici finlandesi dell’Università di Turku ha verificato su 142 ragazze che hanno praticato sport per quattro anni che chi ha interrotto l’attività fisica ha accumulato, negli anni successivi, meno calcio nelle ossa di chi ha continuato ad allenarsi.

"La qualità dell’allenamento è fondamentale" dice Panella. "Bisogna dedicarsi allo sport al meno tre volte la settimana, privilegiando il lavoro aerobico, cioè quello che aumenta la frequenza cardiaca e l’ossigenazione dei tessuti. E’ proprio l’aumentato apporto di ossigeno all’osso che ne migliora la qualità. Con meno di tre volte la settimana non si ottiene il risultato sperato".

Chi è sempre stato sedentario ha comunque tempo fino ai 40 anni per ripensarci. "E’ quella l’età in cui i vantaggi dal punto di vista della struttura ossea cominciano a svanire per l’attività fisica; ma non bisogna dimenticare che anche le persone anziane beneficiano di un po’ di ginnastica. In questo caso rafforzano i muscoli e ne aumentano l’elasticità, due caratteristiche fondamentali per sostenere un apparato scheletrico debole e per evitare le fratture" conclude Panella.

[Tratto da Panorama 22/6/2006 Anno XLIV N. 25 p.178 Dirett. Pietro Calabrese - Daniela Ovadia]

martedì 8 marzo 2011


Per il Sole24Ore l’osteopatia è una “medicina integrata ad alto impatto sociale”

Martedì 13 Luglio 2010 15:27 | articolo di: Massimo Valente

IlSole24Ore Sanità parla di osteopatia dedicando, nella sezione Medicinae del settimanale pubblicato la scorsa settimana, un’intera pagina titolata: “Osteopatia in cerca di dialogo”.
E’ importante l’attenzione dedicata al tema dal prestigioso giornale di Confindustria che, in prossimità di un evento storico previsto per fine mese, quale la pubblicazione delle linee guida dell’OMS sull’Osteopatia, conferisce grande stima a questa disciplina complementare, sempre più orientata a diventare “medicina sistemica” ed integrata.
L’autorevole periodico di informazione gestionale e normativa per gli operatori sanitari, rimarca così l’importanza di una integrazione tra medicina convenzionale ed osteopatia che – secondo le parole di Ezio Benagiano, medico, presidente emerito della fondazione L.u.me.n.oli.s e presidente onorario del congresso nazionale di Osteopatia – “va intesa come arte, scienza e medicina manuale sistemica e integrata, aperta alla medicina allopatica e disponibile a parlare il linguaggio comune e transdisciplinare della ricerca”.
Al centro dell’interesse proprio il secondo congresso nazionale di osteopatia dal titolo La medicina incontra l’osteopatia: verso una medicina sistemica, e dal tema L’osteopatia nelle età della vita che, tenutosi a Roma lo scorso giugno, rappresenta “un raggio di luce su questo cammino di dialogo – dichiara Benagiano - che oggi sembra essere più fruttuoso”.
Dello stesso avviso è anche l’osteopata Paolo Tozzi, direttore organizzativo e responsabile del congresso romano del 17, 18, 19 e 20 giugno scorso.

2ì Congresso Nazionale di Osteopatia2^ Congresso Nazionale di Osteopatia, Roma 17-20 giugno 2010

Tra gli obiettivi dichiarati da Tozzi nell’articolo pubblicato sul settimanale delSole24Ore, quello di “tradurre l’osteopatese nella pratica medica”, ossia di “tradurre in un linguaggio universale (quello della ricerca e dell’evidenza) le nostre esperienze di efficacia”. L’osteopatia fa passi da gigante e il messaggio lanciato a livello nazionale, convalidato dalla stampa specializzata, ne richiama l’efficacia, avvalorata dalla sempre maggiore convergenza sul tema di medici, odontoiatri, universitari, ricercatori, specialisti nell’ambito sanitario e tanti altri “che – ribadisce il Dr. Ezio Benagiano - desiderano capire, incontrarsi con l’idea di base di sforzarsi a parlare e ascoltarsi per la realizzazione di una medicina sistemica e integrata del III millennio, che abbia al centro del suo interesse la persona e non la malattia”.
E’ infatti questo il perno della disciplina osteopatica che, sebbene non sia stata ancora regolamentata dal nostro ordinamento sanitario nazionale, considera il paziente nella sua globalità socio-psico-fisica seguendo procedure di intervento non standardizzate, “poiché – chiosa Paolo Tozzi sul Sole24Ore - ogni suo intervento è basato sull’unicità psicofisica del paziente nell’istante preciso della consultazione, piuttosto che sulla diagnosi in cui il paziente viene catalogato”. Il valore aggiunto della pratica osteopatica rispetto alla medicina allopatica tradizionale è proprio questo, e il riconoscimento dell'osteopatia in ogni fase della vita è una realtà in via di stabilizzazione.
Da queste premesse ha preso vita lo stesso congresso di Roma, teso proprio a mostrare, attraverso la presentazione di studi clinici in campo osteopatico, gli aspetti sistemici di questa medicina, descrivendo un razionale scientifico (anatomico, neurologico, biochimico e somato - emozionale) e clinico documentato che continuerà ad interessare numerose tavole rotonde con relatori di diverse professioni sanitarie.
Leggete l'articolo integrale pubblicato sul Sole24Ore http://www.tuttosteopatia.it/wp-content/uploads/p26.pdf
Fonte: Tuttosteopatia.it

mercoledì 2 marzo 2011


La bocca ed il corpo, parte prima.


"Tutte la parti del corpo formano un cerchio,ogni parte è sia l'inizio sia la fine".


Così affermava Ippocrate da Coo (460 a.C-377 a.C). La nostra Ars Medica ha dimenticato questo e nella sua evoluzione ha continuato a suddividere il corpo in apparati, perdendo la visione di insieme della struttura dell'organismo e delle sue funzioni.
La suddivisione della colonna vertebrale in quattro segmenti, ad esempio, è puramente arbitraria essendo dal punto di vista funzionale una struttura unica ed indivisibile e l'occhio non è solo sede della acuità visiva ma, anche, componente essenziale nel mantenimento dell’equilibrio.
La parte del corpo che è sempre stata considerata avulsa dal contesto generale del corpo è la bocca.
Essa è sempre stata, in generale, appannaggio di categorie estranee all’arte medica, i ”cavadenti”, i barbieri nel Far West, con risvolti sempre truci, immagini di dolore e sofferenza legati alla immancabile estrazione del dente.
In realtà sono sempre esistiti tentativi di sostituzione dei denti andati perduti. In epoca etrusca o ai tempi degli egizi, venivano sostituiti i denti perduti nei settori anteriori, con denti prelevati dai defunti o estratti agli schiavi e fissati a quelli vicini con fili o striscette d’oro. Nelle corti europee esisteva la figura del medico di corte che si dedicava anche alle terapie odontoiatriche.
Questi eventi riguardavano un’elite. A livello di volgo, la terapia più diffusa era l’estrazione.
Nella cultura popolare, ancora oggi se ne sentono gli effetti; al dente, al dentista e alle terapie odontoiatriche è legata l’immagine del dolore e l’estrazione viene ancora richiesta come soluzione rapida ed economica: “via il dente,via il dolore”. Da circa un decennio la situazione è in via di cambiamento, i mass-media sempre più spesso si occupano della salute della bocca.
Il concetto di prevenzione si sta affermando e sempre più spesso, il paziente ricorre al dentista per una visita di controllo e non solo per eliminare il dolore. Per quanto riguarda le correlazioni fra la bocca, o meglio, fra l’occlusione dentale e gli altri apparati e sistemi corporei esiste una “non conoscenza” o accettazione da parte della classe medica, del ruolo che una malocclusione può avere in quadri dolorosi cervicali, dorsali,lombari  ecc...
L'Osteopatia studia ed approfondisce le correlazioni fra l’apparato masticatorio e ad esempio, l’apparato locomotore. La perdita di elementi dentali e la loro mancata sostituzione, protesizzazioni, terapie ortodontiche anche tecnicamente ed esteticamente perfette ma non armonizzate con l’individuo possono, in taluni soggetti, scatenare quadri dolorosi in zone corporee apparentemente non collegate alla bocca. Esempio tipico sono i quadri di cervicalgia alta, la cosiddetta “cervicale”, a livello delle prime vertebre cervicali con tipica irradiazione alle tempie ad insorgenza notturna o mattutina. In questo caso senza intervenire correttamente sull’occlusione dentale, il lavoro dell'Osteopata potrebbe essere annullato o di ridotta efficacia.
La branca dell’odontoiatria che si occupa in maniera approfondita di queste problematiche si chiama “GNATOLOGIA” anche se la sua conoscenza ed applicazione dovrebbe far parte del bagaglio culturale di ogni dentista. Il termine deriva dal greco “gnatos- logos” cioè discorso sulle mascelle.
Il suo grande sviluppo avvenne nel 1864 quando Bonwill creò il primo articolatore, l’apparecchio che permette di assemblare insieme i modelli di gesso delle arcate dentarie come sono nella realtà del paziente.
Da allora vi fu un vero e proprio fiorire di interesse, invenzioni per migliorare gli strumenti nel tentativo di riprodurre il più fedelmente possibile i movimenti della bocca. Per la tecnologia del tempo, prevalse una visione molto meccanica del funzionamento della bocca e nonostante alcune voci contrarie si continuò a considerare il sistema masticatorio come un insieme di ingranaggi, i denti, connessi attraverso l’osso mandibolare alla articolazione temporo mandibolare in un rapporto dinamico nettamente meccanicistico che escludeva qualsiasi ruolo del sistema nervoso centrale e del sistema muscolare.
Questa visione che isolava il “pianeta bocca” dal resto del corpo, durò circa un secolo.
Nel 1934, però, Costen un otorinolaringoiatra statunitense pùbblico un lavoro in cui poneva le basi delle connessioni fra malocclusione e sintomi extraorali.
Egli, infatti, osservò che quadri di cervicalgia e/o disturbi uditivi erano collegati alla mancanza dei molari.
Da circa un decennio la situazione va cambiando e, con sempre maggiore risonanza, si sente sempre più diffusamente parlare, sia in ambito scientifico che dai mass-media, di “patologie occluso posturali”. Con questo termine, si indicano quadri patologici, generalmente a carico del sistema muscolo-articolare, coinvolgenti regioni al di fuori dell’apparato masticatorio, la cui patogenesi risiederebbe in parte o in toto in una malfunzione dell’apparato stomatognatico.
Per comprendere come ciò possa avvenire è necessaria una visione globale del corpo umano e di tutte le correlazioni anatomiche, fisiologiche e funzionali fra i vari distretti.

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