sabato 16 luglio 2005

Rieducazione posturale

introduzione
Se osserviamo con attenzione un uomo che sta in posizione eretta possiamo constatare come egli poggi su una piccola base, mentre la massima ampiezza e la massima circonferenza del suo corpo risiede a livello delle spalle e dei fianchi. La base di appoggio, a piedi uniti e paralleli è delimitata da una linea che congiunge le punte dei piedi ed i talloni e lateralmente passa lungo i loro margini. Questa base si allarga un poco se divarichiamo leggermente le punte. Per queste considerazioni il corpo umano in questa posizione può essere paragonato ad un cono tronco con la base minore appoggiata al suolo. Si può verificare facilmente la scarsa stabilità di questa posizione se ci si pone con gli occhi chiusi ed in posizione eretta e a piedi uniti; dopo un certo tempo si ha un senso di barcollamento che si corregge con un impegno muscolare che rende sicura la posizione. Appena si porta in avanti un piede, allargando cioè la base di appoggio, si sta di nuovo sicuri e saldi. La nostra posizione eretta non è dunque così naturale come sembrerebbe a prima vista.Un fugace sguardo nel regno animale mostra come quasi tutti i vertebrati viventi sulla terra camminano su quattro arti; soltanto nella corsa essi discostano per un brevissimo tempo uno o due arti dal suolo. Anche noi costruiamo i carri a quattro ruote, i tavoli e le sedie con quattro gambe.Un carro a due ruote o una bicicletta devono dunque lottare per raggiungere l'equilibrio.L'Uomo con i suoi due arti ha gli stessi problemi di equilibrio. Ciò nonostante sono esistiti ed esistono tuttora animali che si sono eretti per breve tempo o permanentemente. Pensiamo , ad esempio, ai grandi dinosauri, a tutti gli uccelli, al canguro e agli antropoidi. Ereggendosi l'animale ha una maggiore visuale sul territorio circostante ed in tal modo riconosce più facilmente il cibo e i nemici. Ma nessuna delle specie animali sopra citate cammina eretta come l'uomo. In tutti gli animali la coscia, la gamba ed il piede formano angoli più o meno ampi tra di loro. Persino gli Antropoidi hanno i loro arti inferiori non ancora completamente diritti; essi poggiano generalmente sui loro lunghi arti anteriori che sono il vero e proprio organo di movimento con i quali essi si spostano nella fitta vegetazione della foresta.Per questi motivi il loro bacino è di forma differente da quello dell'uomo. Tuttavia nell'uomo gli arti inferiori sono diventati il vero organo di movimento, poiché gli arti superiori si sono completamente affrancati dal suolo, se si eccettuano le prime fasi della vita. Soltanto l'uomo cammina e sta eretto con le ginocchia completamente estese. Se negli animali la coscia è un po' obliqua in avanti ciò ha il vantaggio che l'angolo che si forma tra coscia e gamba avvicina maggiormente il baricentro alla base di appoggio, baricentro che è situato nella regione lombosacrale della colonna vertebrale, circa 3 cm. davanti la seconda vertebra sacrale. In tal modo è migliorata la posizione di equilibrio. Ciò consente particolarmente agli uccelli di posarsi delicatamente sul nido o sul suolo. Inoltre questo tipo di rapporto tra le ossa dell'arto inferiore impedisce la caduta in avanti.Il problema della nostra posizione eretta e del nostro movimento è dunque un problema di baricentro. Quando i nostri antenati sono passati alla posizione eretta questo, movimento è avvenuto soprattutto a carico delle due articolazioni dell'anca, come accade in tutti gli animali che si ereggono in modo provvisorio. Perciò era necessario un forte muscolo in grado di collegare la colonna vertebrale con la coscia e che fosse situato dietro l'articolazione dell'anca.Questo muscolo molto forte è il grande gluteo. Esso non deve sollevare soltanto il tronco ma tenerlo anche continuamente in equilibrio sopra le due teste dei femori. In seguito a tale sollevamento abbiamo spostato il nostro punto di gravità al di sopra dell'asse di rotazione, asse che collega il centro delle due teste dei femori. Tutto ciò ha tuttavia determinato il passaggio da una posizione stabile e sicura ad una posizione instabile ed insicura.Perciò i muscoli glutei, e il grande gluteo in particolare, devono continuamente assicurare la posizione eretta, rappresentando così i custodi dell'equilibrio; l'acquisizione del grande gluteo particolarmente sviluppato ha fatto sì che solo l'uomo possiede il sedere.Questo muscolo gluteo non è, nella posizione di riposo, sempre contratto; è sufficiente il solo tono del muscolo per mantenere la posizione. Esso interviene appena l'equilibrio è messo in pericolo per una errata stazione eretta o per tutti gli altri cambiamenti di posizione.Spesso sono sufficienti brevi contrazioni muscolari anche soltanto di singole parti per correggere la posizione. Soltanto chi ha un portamento errato (pendente in avanti) deve continuamente compiere un lavoro muscolare per correggere la sua posizione. Anche se camminiamo su un suolo slivellato o scaliamo una montagna o saliamo delle scale, il muscolo gluteo è oltremodo impegnato per evitare una caduta in avanti. Insieme a questo muscolo anche molti altri muscoli, situati intorno all'articolazione dell'anca, concorrono al controllo della posizione eretta.In seguito al sollevamento del nostro corpo, gli arti superiori sono stati liberati dalla loro funzione locomotoria, consentendo la disponibilità delle mani per funzioni nuove e assai più specializzate, utili al successivo sviluppo del cervello.Gli uccelli hanno bisogno dei loro arti anteriori per volare, la talpa per scavare, la foca per nuotare, la scimmia per arrampicarsi. L'uomo invece li usa per moltissime attività. Ma esso è diventato un tecnico soltanto perché quasi contemporaneamente alla erezione del corpo si è sviluppato anche il cervello.Con il suo cervello e con le sue mani l'uomo ha mutato il mondo ed ha imparato, anche se solo in parte, a dominare la natura. Con la costruzione di arnesi e di macchine egli ha ottenuto di liberare le sue migliori forze psichiche dal peso del lavoro fisico.Nella posizione eretta l'arto inferiore è divenuto più forte, l'arto superiore non si è sviluppato allo stesso modo; sono mutate le proporzioni nei confronti degli Antropoidi .I molteplici movimenti dell'arto superiore sono possibili grazie anche alla presenza della scapola che, sovrapposta al torace e con i suoi numerosi muscoli, determina incisivamente il rilievo della schiena. Certamente tutti i quadrupedi possiedono una scapola, tuttavia solo gli animali che si arrampicano e l'uomo possiedono un arto superiore così mobile.Appare strano che i piedi, su cui poggia l'intero peso del corpo, presentino una "volta" costruita da due bracci ossei di differente lunghezza. L'ampiezza vera e propria di detta volta difficilmente si riconosce nel vivente a causa delle parti molli che la colmano. Però possiamo vederla osservando la faccia mediale del piede ove il margine, nella parte centrale, si solleva dal suolo, contrariamente al margine laterale che tocca il suolo in tutti i suoi punti. Nel neonato, la volta è debolmente accennata nel margine laterale del piede. L'altezza della volta vera e propria e la sua particolare struttura vengono messe bene in rilievo osservando un'immagine radiologica. In tale immagine il piede appare come una unità nonostante sia costituito da varie ossa e articolazioni. Ciò è dovuto al fatto che la direzione delle trabecole è orientata in modo da continuarsi in tutte le ossa tanto da far apparire il piede come se fosse un unico grande osso. La volta però non è rigida. Essa muta la sua forma, a seconda del peso. Meglio ancora che altrove si vede come il piede e la sua forma possono essere considerati come la parte di un tutto. Le grandi catene muscolari del corpo racchiudono e sostengono perciò anche la volta plantare. Solo l'uomo possiede una colonna vertebrale più volte incurvata sul piano sagittale.Nei quadrupedi essa collega, in un arco dolce e aperto ventralmente, il bacino con la zona della scapola.Nell'uomo la colonna sopporta maggior lavoro che negli animali e, oltre a sostenere il torace ed i visceri addominali, è portatrice del tronco e deve sostenere anche il capo il quale è molto mobile. E' determinante per la sua forma e per il suo movimento che essa, con il suo tratto inferiore sacrococcigeo composto da più vertebre fuse insieme, si incuinei tra le due ossa dell'anca a comporre il bacino. Così ogni movimento del bacino, ogni mutamento dell'inclinazione del bacino provoca movimenti della colonna vertebrale.Quando i nostri antenati iniziarono a sollevarsi, essi spostarono il baricentro all'indietro ma non più di 75 gradi.Perciò la colonna vertebrale non si trovò perfettamente verticale rispetto al bacino come un'asta diritta. Il tratto lombare della colonna rimaneva inclinato per almeno 25 gradi ventralmente, ma per avere una posizione perfettamente eretta, la parte superiore della colonna vertebrale doveva inclinarsi all'indietro. In tal modo l'inclinazione ventrale del tratto lombare induceva una convessità del tratto dorsale. La colonna vertebrale cervicale, il tratto più mobile, è marcata formando una leggera curva a concavità posteriore.Nel vivente non possiamo vedere la colonna vertebrale, si possono solo palpare le apofisi spinose delle singole vertebre. Ma i lunghi fasci muscolari che si trovano a destra e a sinistra delle apofisi spinose fanno sì che si vedano tutte le curvature e i movimenti della colonna vertebrale . Questi muscoli longitudinali sono così forti da impedire la caduta in avanti del corpo che, come abbiamo già detto, si trova in un equilibrio instabile.Una lunga catena muscolare si tende dal capo sino al piede e comprende i muscoli del bacino, il muscolo grande gluteo e i muscoli dei polpacci. Essa vigila sul nostro comportamento e se un tempo ha sollevato il corpo, ora lo mantiene eretto.Infine la più straordinaria e la più bella particolarità dell'uomo è il suo capo. La cosa che lo distingue è la grandezza del cranio con la maggiore ampiezza della fronte e la minore grandezza dei mascellari. Gli antropoidi possiedono ancora il muso. Si aggiunge a questo il notevole giuoco mimico con la suprema capacità di trasmettere nel movimento dei muscoli del volto l'umore e le sensazioni interiori.In sintesi, l'osservazione dell'uomo nella posizione eretta ci mostra alcune particolarità che egli solo possiede: le ginocchia sono estese, il suo baricentro si trova in equilibrio instabile, possiede egli solo un sedere, ha una volta plantare e, infine, una colonna vertebrale con più curve. Lo sviluppo del suo cervello, superiore a quello di tutti gli altri animali, ha indotto la formazione di un voluminoso neurocranio.Tutte queste caratteristiche sono collegate con il portamento eretto che ha portato molti vantaggi ed è stato conquistato opponendosi alla forza di gravità; ma necessita di una continua lotta con quest'ultima. Tuttavia, si deve pensare che alla base dell'originalità dell'uomo non vi è solo la particolarità del portamento del corpo; tale originalità è anche determinata essenzialmente dalle tensioni nervose che dirigono tutti i movimenti, tutti i gesti, e tutte le attività degli organi; in altre parole dalla postura.

Studio della postura
La postura, intesa come la posizione del corpo nel suo complesso, nonché la relazione spaziale tra segmenti scheletrici sia in condizioni statiche che nell'esecuzione di attività motorie, viene sempre più fatta oggetto di studi e ricerche.Lo studio della postura coinvolge specialisti di estrazione diversa e, pertanto, la posturologia va intesa come una branca "trasversale" che attraversa indifferentemente la neurofisiologia, la psicofisiologia, la chinesiologia, l'ortopedia, la medicina e la terapia riabilitativa, la clinica psicosomatica, l'odontoiatria, l'oculistica, la vestibologia e cosi via.Attraverso l'osservazione, la sperimentazione, la riflessione clinica, i vari specialisti hanno identificato e trattato con successo, grazie agli strumenti propri della posturologia, un gran numero di sindromi dolorose, vertiginose, neurologiche, disfunzionali.Infatti, partendo da una attenta analisi clinica della postura e del repertorio neuropsicomotorio del soggetto, tanto in età evolutiva quanto in età adulta e geriatrica è possibile valutare il soggetto portatore di un disturbo posturale, coinvolgendolo in un lavoro attivo e cosciente sul proprio corpo.Pertanto, anche quando l'esame posturologico consente di identificare un'interferenza, ad esempio podalica, occlusale o visiva, primariamente responsabile di un disequilibrio tonico posturale, non ci sembra ragionevole manipolare un'entrata del sistema tonico posturale e quindi modificare la strategia posturale del soggetto senza la sua partecipazione attiva e consapevole a questo cambiamento corporeo.La terapia posturale non può prescindere da una presa di coscienza.Le recenti acquisizioni nel campo della posturologia e le metodiche avanzate per la correzione di un'interferenza posturale mediante l'adozione di specifici ausilii (byte, plantare propriocettivo, correzione visiva,...) o mediante una riprogrammazione neuroposturale indotta in via riflessa (auricoloterapia posturale), non devono far dimenticare i principi classici ma sempre attuali della cultura rieducativa, che si è sviluppata sulla base dell'idea di fondo che la terapia riabilitativa debba essere condotta come un processo di apprendimento in condizioni patologiche (Perfetti, 1986).Il paziente deve essere messo in condizione di sviluppare un apprendimento motorio e posturale, confrontando sensazioni, posizioni, strategie motorie vecchie con le nuove, prendendo coscienza di tutto ciò onde stabilire nuovi punti di riferimento posturali sui quali rielaborare lo schema corporeo.Com'è pensabile modificare la postura di un soggetto mediante un atto terapeutico indotto dall'esterno, senza consentire una partecipazione attiva e cosciente al cambiamento in atto da parte della persona stessa?La coscientizzazione, l'elaborazione, l'accettazione del cambiamento non sono dettagli secondari alla terapia posturale: non stiamo manipolando una macchina o un computer, stiamo inducendo delle modificazioni neuropsicomotorie e posturali a scopo terapeutico in un corpo vivente, vissuto, cioè propriamente umano.Il cambiamento della postura deve essere vissuto e non subito dal soggetto.Tale cambiamento implica una rielaborazione dello schema corporeo e dell'immagine di sé, con tutte le implicazioni annesse e connesse, da quelle neurofisiologiche a quelle psicoemotive a quelle sensomotorie.Molti sono stati gli sforzi degli studiosi che si sono interessati al problema dello schema posturale, dell'immagine di sé, della percezione corporea, tra i quali va citata sicuramente l'opera scientifica di Schilder (1935), le cui intuizioni e teorizzazioni sul concetto di schema corporeo sono risultate un punto di riferimento fondamentale per intere generazioni di studiosi.Un cambiamento della postura implica un cambiamento dello schema corporeo: pertanto lo studio dello schema corporeo, della sua elaborazione e rielaborazione, merita uno spazio più che legittimo nell'impianto teoretico della posturologia, così come le metodologie e le tecniche che concorrono alla strutturazione e alla ristrutturazione dello schema corporeo sono da inserire tra gli strumenti operativi propri della posturologia.

Schema corporeo
Si intende per schema corporeo, o immagine corporea, la coscienza immediata del nostro corpo nella sua tridimensionalità, della sua posizione, del suo stato, sia in condizioni statiche che dinamiche: una sorta di immagine di sé che implica fattori di ordine neurofisiologico, psicodinamico, relazionale, e che consente all'individuo di entrare in relazione spaziale e temporale con il mondo circostante.Storicamente il concetto di schema corporeo viene fatto risalire alla fine del XIX secolo.Proposto da Bonnier, poi diffuso, valorizzato e rielaborato da studiosi quali Lhermitte, Pick, Head, il concetto di schema corporeo trova la sua consacrazione scientifica nel 1935 con l'opera di Schilder "The image and appearance of the human body", tradotto in italiano con molti anni di ritardo sotto la direzione del prof. Cesa-Bianebi (1973).Le prime elaborazioni teoriche sull'argomento sono rintracciabili con la formulazione del concetto di cenestesia, espresso all'inizio del secolo XIX. Il termine cenestesia può essere considerato parente del successivo concetto di schema corporeo ma sicuramente non sinonimo. Nell'ottocento con questo termine si alludeva al senso generale che noi abbiamo del nostro corpo, dato dall'insieme di sensazioni che da ogni parte del corpo venivano trasmesse al "sensorium", centro di integrazione sensoriale. Questa definizione, in verità abbastanza indeterminata, tende ad evidenziare che si tratta di molteplici e disgiunte sensazioni che si fondono a livello cosciente in un "senso di sé" . L'imprecisione del termine è stata messa in evidenza da molti studiosi, tra cui Wallon (1974): in particolare questo "caos indifferenziato di sensazioni" sembra ricondurre ad un generico senso di coscienza del corpo senza distinguere, ad esempio, tra sensibilità enterocettiva e sensibilità propriocettiva, e senza precisare il ruolo degli aspetti emotivi ed affettivi in tutto ciò.Nei suoi studi a cavallo tra i due secoli, Bonnier si pone criticamente di fronte al concetto di cenestesia e introduce in modo originale un nuovo criterio rispetto agli studi dell'epoca: il criterio topologico. La novità di Bonnier, che egli indicò come essenziale, fu quella di attribuire al corpo un suo valore topologico, cioè spaziale, grazie al quale è possibile orientarsi oggettivamente nel mondo e soggettivamente riguardo le diverse parti del nostro corpo: il nostro corpo ci è dato come "sens d'espace".Ulteriori sviluppi circa l'importanza del criterio spaziale vengono forniti da Pick, neurologo tedesco che all'inizio del novecento parla di "korperschema" e introduce lo schema topognostico. Secondo tale schema noi possediamo una consapevolezza topografica del nostro corpo che ci consente di sapere continuamente in che stato si trova. Mentre Bonnier attribuiva un ruolo particolarmente importante alla funzione vestibolare nella formazione dello schema del corpo, secondo Pick è la funzione visiva a definire primariamente l'immagine spaziale del corpo, senza comunque sottovalutare la funzione aptica e quella cinetica.Il neurofisiologo inglese Head fornisce una visione per così dire associazionistica dello schema corporeo, formato dall'associazione di vari ordini di informaziom posturali, tattili, cinetiche, visive la cui sintesi fornisce un somatogramnma in continuo divenire. Head parla di "modello" e sottolinea l'aspetto dinamico, in evoluzione di questo processo.
Con Schilder (1935) assistiamo al superamento dei precedenti punti di vista nel tentativo di dare una definizione al contempo fisiologica, psicologica, sociologica. Secondo Schilder noi riceviamo una serie di sensazioni tattili, termiche, nocicettive, neuromuscolari, viscerali, ma al di là di tutto questo vi è l'esperienza immediata dell'esistenza di una unità corporea che se è vero che viene percepita, è d'altra parte qualcosa di più di una percezione: può essere definita schema del nostro corpo o schema corporeo oppure, seguendo la concezione di Head che sottolinea l'importanza della conoscenza della posizione del corpo, modello posturale del corpo.Arriviamo così alla definizione di Schilder: "lo schema corporeo è l'immagine tridimensionale che ciascuno ha di se stesso: possiamo anche definirlo immagine corporea".Riassumendo, lo schema corporeo implica:· fattori neurofisiologici rappresentati dalla funzione propriocettiva, enterocettiva, esterocettiva, vestibolare che peraltro garantiscono la consapevolezza del movimento e della posizione del corpo;· fattori psico-emotivi, caratterizzanti l'immagine di sé e lo schema corporeo al punto tale che qualsiasi rigida separazione dai precedenti aspetti fisiologici risulta essere un'operazione arbitraria, impropria, dicotomica.
In realtà gli aspetti fisiologici e gli aspetti psicologici dello schema corporeo rappresentano un'unità che non la natura, ma solo le esigenze didattico-metodologiche della scienza possono artificiosamente dividere e tenere separate.

A questi due aspetti possiamo aggiungere i fattori sociali, trattati da Schilder in un'apposita parte della sua opera (sociologia dell'immagine corporea), in virtù del fatto che l'immagine del corpo può risentire dello specifico contesto sociale, culturale, etnico. Siamo pertanto di fronte ad un processo complesso in cui confluiscono aspetti senso-percettivi con aspetti immaginativi, al fine di produrre un qualcosa di profondamente unitario anche se costantemente in fieri: la coscienza immediata ed unitaria del nostro corpo.Giova ricordare che noi conosciamo la posizione di punti del corpo, ad. esempio il naso, anche quando le afferenze somatoestesiche di queste parti del corpo vengono anestetizzate.Schilder spiega chiaramente che non si tratta semplicemente di una sensazione o di un'immagine mentale: esso implica che "l'immagine non è semplicemente percezione sebbene ci giunga attraverso i sensi, ma comporta schemi e rappresentazioni mentali, pur non essendo semplicemente una rappresentazione"In altre parole, le afferenze sensoriali periferiche concorrono a formare lo schema centrale, ma d'altronde lo schema centrale modula e regola l'attività periferica.E' su questo principio che Ruggieri (1988) ha sviluppato un modello circolare in termini psicofisiologici, "modello che considera le rappresentazioni dello schema corporeo come sistemi complessi con componenti centrali e periferiche". Secondo l'Autore anche in questo contesto acquista un significato peculiare la frase di Freud: "le originali percezioni sensoriali sono simboleggiate...".In effetti, anche alla luce di questa pur breve rassegna storica sul concetto di schema corporeo, si capisce bene come esso non sia un semplice processo lineare unidirezionale (le afferenze sensoriali periferiche che concorrono alla formazione dello schema corporeo centrale), ma al contrario un processo circolare bidirezionale e polifasico.
Infatti lo schema corporeo centrale, come preconizzato da Head e da Schilder, è a sua volta in grado di influenzare e modificare la periferia corporea; in particolare lo schema centrale è in grado di modificare il tono posturale.A loro volta le reafferentazioni di ritorno periferiche contribuiscono alla ristrutturazione e alla rielaborazione dello schema corporeo, secondo un processo circolare polifasico in continuo divenire di tipo bidirezionale (periferia - centro; centro - periferia; periferia -centro e così via).Una simile chiave di lettura del processo di strutturazione dello schema corporeo appare in sintonia con l'approccio circolare e sistemico che viene utilizzato in psicosomatica (Onnis, 1989 e 1993; Scoppa e Nicotra, 1996) per rappresentare meglio la prospettiva olistica della persona e superare la concezione biunivoca della malattia (psicogena o somatogena)
Già Schilder, rifacendosi agli studi di Head, sottolineava l'importanza della corteccia sensoriale come "magazzino" delle sensazioni passate, che formano dei modelli organici (schemi) che "modificano le impressioni degli impulsi sensoriali afferenti in modo tale che la sensazione finale di posizione o di localizzazione giunga a livello di coscienza correlata con qualcosa che è accaduto in precedenza". Pertanto "qualsiasi cambiamento riconoscibile giunge alla coscienza dopo esser stato posto in relazione con qualcosa che è accaduto in precedenza". Si tratta quindi di un complesso processo di riconoscimento, di confronto, comparativo, in riferimento ai dati delle esperienze corporee pregresse.Su questo tipo di interpretazione converge anche Gozzano (1959) per spiegare la coscienza immediata dell'unità del nostro corpo e la rappresentazione spaziale tridimensionale che ciascuno ha di se stesso: "le impressioni visive, tattili, muscolari, ci informano sull'esistenza delle diverse parti che compongono il nostro corpo, ma oltre a ciò noi abbiamo una coscienza immediata che il nostro corpo esiste come unità; d'altra parte le medesime impressioni visive tattili e soprattutto muscolari ci informano sulla posizione delle diverse parti del nostro corpo, e sui cambiamenti di posizione di ciascuna di esse rispetto alle altre e rispetto allo spazio, in virtù di un processo di confronto, compiuto dalla corteccia cerebrale, fra queste impressioni ed un modello o schema rappresentativo del nostro corpo e dei rapporti spaziali fra le sue parti".
Lo schema corporeo, o immagine corporea, non è una struttura innata e preformata, e non è una immagine fissa e statica, ma al contrario è una struttura dinamica, in continuo divenire, dipendente dalla maturazione del sistema nervoso, dai vissuti psico-emotivi, dal livello di percezione sensomotoria e dai processi resi possibili dall'esperienza e dall'apprendimento motorio e posturale. Su questo punto Schilder è chiaro: "l'immagine del corpo da un punto di vista fisiologico non è un fenomeno statico. La si acquista, la si costruisce ed essa trae la struttura da un continuo contatto con il mondo.

Non è una struttura, ma una strutturalizzazione in cui si verificano continui cambiamenti, e tutti questi cambiamenti sono in rapporto con la mobilità e le azioni del mondo esterno".Pertanto lo schema corporeo è un processo tonico, dinamico, in evoluzione: a tale proposito Head (1911) non parla di schema, ma di schemi, al plurale, che integrandosi tra loro formano un somatogramma sempre in fieri.Su questa posizione si collocano in varia misura molti studiosi dell'argomento, tra cui ricordiamo: Bartlett (1932), Mucchielli (1962), Wallon (1962), Kohler e Lachanat (1972), Le Boulch (1981), Dropsy (1981), Perfetti (1986), Ruggieri (1988).
Nell'età dello sviluppo la strutturazione dello schema corporeo passa attraverso tappe evolutive: Le Boulch (1975) definisce lo stadio del "corpo subito", dalla nascita ai tre mesi di vita, la tappa del "corpo vissuto", fino ai tre anni, lo stadio del "corpo percepito", cioè la tappa della discriminazione percettiva che va dai tre ai sette anni, e lo stadio del "corpo rappresentato", cioè il periodo dai sette ai dodici anni della rappresentazione mentale del "corpo proprio" in movimento.Le prime esperienze infantili hanno pertanto un importanza del tutto speciale nella strutturazione dello schema corporeo, ma questo processo dinamico, evolutivo, in continuo divenire non è circoscrivibile solo all'età evolutiva: ad ogni età possiamo avere modificazioni o ristrutturazioni dello schema corporeo, e particolarmente in concomitanza con modificazioni neuro-posturali, morfo-strutturali o psico-affettive. Ed è per tale ragione che bisogna considerare la rielaborazione dello schema corporeo come un capitolo fondamentale in posturologia, specie quando atti terapeutici o processi patologici inducono significative modificazioni tonico-posturali.
Nel descrivere la "sindrome del deficit posturale", Da Cunha (1987) precisa che uno dei sintomi caratteristici è quello che il malato si lamenta di avere difficoltà nel rimanere eretto, sia che egli si senta titubante, sia che soffra in tale posizione.Schilder dice: "nella costruzione del modello posturale del corpo le difficoltà sorgono quando i vari sensi non possono venir usati o coordinati"; ma è proprio questa la situazione in cui ci si trova in presenza di un'interferenza recettoriale che altera il sistema tonico posturale. Dobbiamo considerare come a tale alterazione posturale corrisponda un'alterazione del modello posturale centrale, ed è per tale ragione che è necessario considerare sempre anche lo schema corporeo quando studiamo il sistema posturale.L'importanza di queste funzioni nella costruzione dello schema corporeo sono ben sottolineate da Schilder: "tutti i sensi partecipano a questo processo costruttivo, e indubbiamente l'apparato vestibolare ha qui una particolare funzione. Il nostro rapporto con la terra, con la gravità è un fattore vistoso per la meccanica del movimento e per la percezione dell'immagine corporea".Non ci dimentichiamo che uno dei padri del concetto di schema corporeo, il già citato medico francese E. Bonnier, ha iniziato le sue ricerche in ambito otologico studiando le malattie dell'orecchio; in particolare partendo dai suoi lavori sulla vertigine è andato a cercare il fondamento dello stato di non vertigine, ovvero il meccanismo che garantisce l'ancoraggio delle posture di un soggetto in un contesto spazio-temporale.Così nasce l'ipotesi fondamentale della presenza di uno schema del proprio corpo, ovvero di una struttura o meglio di una strutturalizzazione che lo rappresenti in ogni momento, ipotesi ripresa più volte sia pure con concettualizzazioni diverse: dalla configurazione spaziale del corpo, allo schema posturale, all'immagine di sé.Le modificazioni dello schema corporeo in concomitanza di uno stato patologico o disfunzionale possono essere molto evidenti e a volte drammatiche.Ricordiamo a titolo esemplificativo il fenomeno dell'arto fantasma e il fenomeno dell'emidisattenzione, ovvero di pazienti che sentono un arto che non c'è più, o che non sentono più come proprio un arto ancora presente ma in condizioni anatomopatologiche e funzionali radicalmente modificate.In caso di amputazione di una gamba, l'amputato può continuare a sentire il proprio arto ed avere la netta sensazione che ci sia ancora, che si muova, che faccia male, fino al punto di dimenticarsi della propria menomazione e cadere: è la comparsa di un arto fantasma, che è l'espressione dello schema corporeo.Schilder riferisce il caso di un amputato le cui sensazioni di una gamba e di un piede fantasmi scomparvero immediatamente con l'insorgere di una lesione celebrale: la stessa lesione che eliminò ogni riconoscimento della propria postura fece cessare anche la percezione dell'arto fantasma. Questo lascia supporre che il fenomeno sia di origine centrale e non periferica, come intuito da Descartes nel XVII secolo, quando scriveva: "il dolore della mano non è sentito dall'anima in quanto è nella mano, ma in quanto è nel cervello". Ma anche una interpretazione di questo tipo, strettamente neurologica, non rispecchia in pieno la realtà del fenomeno dell'arto fantasma, che come è noto ha delle valenze psico-emotive. Una situazione contingente, una emozione, un ricordo, che evocano il vissuto della ferita, possono far comparire un arto fantasma in amputati che prima non lo avevano; così come può succedere che la dimensione notevole dell'arto fantasma si possa ridurre, fino al punto di essere inglobato nel moncherino, in concomitanza con l'accettazione della menomazione da parte dell'amputato. Si pensi a quale ruolo possono avere questi aspetti ad esempio nel fenomeno della mammella fantasma delle donne che hanno subito una mastectomia.Partendo da questo tipo di considerazioni, Bernard (1974) afferma: "bisogna dunque capire come i determinanti psichici e le condizioni fisiologiche si ingranino gli uni sulle altre: a prima vista non si concepisce come l'arto fantasma, se dipende da condizioni fisiologiche e se è a questo titolo l'effetto di un determinismo naturale, può d'altronde dipendere dalla storia personale del malato, dai suoi ricordi, dalle sue emozioni o dalla sua volontà. Perché abbiano una stessa risultante, queste due componenti fisiologiche e psicologiche necessitano di un terreno comune.Altro fenomeno su cui giova riflettere è quello dell'emidisattenzione dell'emiplegico, specie in quei casi complessi in cui i pazienti negano, rifiutano l'esistenza di una metà del proprio corpo o la considerano estranea, cosa altrui, o la percepiscono come un oggetto.
Riguardo gli aspetti psicologici dello schema corporeo e dell'immagine di sé, una testimonianza della loro rilevanza ci è data dalla vastità degli studi sull'argomento che, a partire da Freud, sono arrivati fino ai nostri giorni.Klein, Biek, Bion, Winnieot, Mahler, Merlea Ponty, Jacobson, Bowlby, Kout, Eissler, Stern, Reic Lowen, Piaget, Downing sono solo alcuni degli studiosi, di formazione e approccio concettuale anche molto eterogeneo, che possono essere accomunati dall'importanza data al corpo e alle esperienze corporee nel strutturazione dello psichismo globale e della coscienza del Sé. In effetti una piena coscienza del Sé può essere raggiunta solo con la strutturazione a livello mentale di uno schema radicato nell'esperienza corporea; questa struttura mentale rappresenta il garante dell'identità dell'integrità della persona: "io sono il mio corpo" questo è il messaggio che ci arriva, da Merleau-Ponty a Lowen. D'altronde anche su questo punto Sehilder è chiaro: "I processi di costruzione dell'immagine corporea non avvengono soltanto nel campo della percezione, ma hanno anche i loro paralleli nella costruzione del campo libidico ed emotivo".Una testimonianza del ruolo che giocano gli aspetti squisitamente psico-emotivi nella strutturazione dello schema corporeo può arrivare da casi di psicopatologia come ad esempio l'anoressia mentale, nella quale una caratteristica essenziale è la presenza di una alterazione dell'immagine corporea per ciò che riguarda forma e dimensioni corporee.Ruggieri et al. (1994, 1997) hanno approfondito l'argomento dell'immagine corporea nell'anoressia mentale; un'interessante ricerca sperimentale (1997) ha messo in evidenza come nelle donne anoressiche l'intensità della percezione cinestesica sia particolarmente bassa. Tali risultati sono coerenti con la problematica di queste pazienti che ruota intorno ad un processo di negazione della propria corporeità e di alterazione della propria immagine corporea. Secondo i ricercatori, tutto ciò va inteso come un processo di natura psicofisiologiea che passa attraverso concrete modalità di inibizione dell'informazione sensoriale, mediante un meccanismo centrale di inibizione che interviene sia a modificare alcune forme particolari di sensibilità tattile che a ridurre il peso dell'informazione cinestesica nella costruzione dell'immagine corporea.
Come ci ricordano Gagey e Weber (2000), "il sistema posturale è un sistema automatico. L'uomo non ne ha alcuna coscienza; non ne parla".Da questa semplice constatazione può avere inizio una seria riflessione sul senso di offrire al "malato posturale" la possibilità di prendere coscienza del suo stato, delle strategie posturali e motorie da lui messe in atto mediante un lavoro percettivo-motorio di rieducazione posturale e di rielaborazione dello schema corporeo, anche considerando che "...gli individui regolano la posizione del centro di gravità rispetto al terreno attraverso l'uso di uno schema posturale corporeo che include la rappresentazione interna della verticale, della cinematica corporea e della cinetica corporea. Il principale substrato a base dell'orientamento corporeo è il cosiddetto schema posturale corporeo" (Cesarani e Alpini, 2000).Da tutto questo consegue che un arricchimento dell'attività senso-percettiva e motoria possa favorire una buona strutturazione dello schema corporeo, consentendo così un miglior controllo motorio e posturale.Pertanto, in posturologia la terapia dovrebbe vedere non soltanto la correzione delle specifiche interferenze posturali ma anche un accurato lavoro di percezione delle modificazioni tonico posturali indotte dalle stesse.Quindi la percezione è una funzione basilare che condiziona tutto l'agire dell'individuo, ogni suo apprendimento ed ogni sua relazione: se ne comprende così l'importanza che essa riveste in ambito educativo, rieducativi, terapeutico.

Infatti il modo con cui un individuo percepisce la realtà, e quindi anche la propria realtà corporea, è condizionato non soltanto dalla funzionalità delle strutture organiche sensoriali, ma anche dall'uso di queste strutture sensoriali secondo l'esperienza e i fattori psicologici ed ambientali.Quindi, accanto a determinanti strutturali (le strutture nervose ed i recettori sensoriali) vi sono determinanti psico-emotivi, ambientali, esperienzali e socio-culturali che, in intima connessione tra loro, determinano l'attività percettiva del soggetto ed il suo comportamento ed orientamento nell'ambiente.L'attività percettiva rappresenta il punto di contatto dell'individuo con la realtà: il nostro comportamento in ogni momento viene adattato alla realtà così come essa viene da noi percepita. L'individuo non reagisce ad una realtà assoluta ed incontrovertibile, ma alla propria percezione della realtà: il campo percettivo diventa così per l'individuo la realtà stessa. La realtà corporea non fa eccezione: l'Io vive e agisce il proprio corpo e come lo percepisce, con tutte le valenze affettive emotive oltre che sensoriali e motorie.Riguardo quest'ultime, dobbiamo sempre tenere a mente, come ci ricorda Schilder, che " non esistono percezioni senza azioni"; pertanto uno schema corporeo non può strutturarsi se non attraverso un'adeguata attività percettivo-motoria, attiva o passiva; d'altronde non si può recuperare alcuna funzione motoria senza contemporaneamente recuperare lo schema ad essa pertinente.Molte sono le proposte utili in tal senso, che possono mettere il soggetto in condizioni di sviluppare un processo gnostico-percettivo significativo, ove necessario facendo ricorso a facilitazioni adeguate: esercizi di rieducazione respiratoria, di mobilizzazione segmentaria sia attiva che passiva, di lateralizzazione, di equilibrio, di coordinazione senso-motoria, di strutturazione spazio-temporale, oltre agli esercizi di rieducazione posturale (cfr. ad esempio Picq e Vayer, 1968; Le Boulch, 1979; Loudes, 1980). Oltre al movimento, è necessario tenere a mente l'importanza del "non movimento": il rilassamento.Insieme alle tecniche di rilassamento propriamente dette quali il Training Autogeno (Scoppa, 1990) il Rilassamento Progressivo di Jacobson, le tecniche respiratorie, bisogna sottolineare l'utilità di quelle proposte terapeutiche che in generale favoriscono una riduzione dello stato di tensione muscolare cronica liberando il corpo dalle contratture parassite e disfunzionali. Emblematica, a tale scopo, l'efficacia delle tecniche di Analisi Bioenergetica (Traetta, 1998; Scoppa e Borrello, 1998), che ben si prestano ad essere integrate con metodiche più strettamente fisiokinesiterapiche e biomeccaniche per un approccio realmente olistico (Scoppa, 1996, 1999a, 1999b, 1999c).Il fondamento di tali proposte terapeutiche, tese a ridurre lo stato di tensione cronica nel corpo, risiede nel fatto che la capacità di presa di coscienza corporea e di elaborazione dello schema corporeo sono seriamente ostacolate dallo stato muscolo-tensivo e di tensione emotiva. Questa evidenza clinica trova anche delle conferme sperimentali (Ruggieri et al., 1983), che hanno documentato a questo proposito come il grado di autopercezione corporea sia inversamente proporzionale al livello di tensione miografica. La strutturazione dello schema corporeo posturale e le attività senso-percettive e motorie sono intimamente correlate tra loro: basti ricordare che il canale privilegiato attraverso il quale viene modificata ed influenzata la funzione motoria è costituito dalle informazioni senso-percettive, cioè dalle informazioni proprio ed esterocettive, mediante i recettori cinestesici, tattili, labirintici, visivi, acustici. La sensibilità proprio ed esterocettiva, basata sulle informazioni dei recettori periferici convogliate nei centri nervosi superiori tramite le vie spinali, permette di realizzare una sorta di "coscienza soggettiva" della posizione spaziale dell'apparato locomotore e delle sue modalità di funzionamento, e rappresenta la base della strutturazione dello schema corporeo e della programmazione neuropsicomotoria.Quello che poi si può effettivamente educare non è la sensazione ma la percezione, le informazioni sensoriali provenienti dagli organi di senso periferici, intesi come strutture anatomofunzionali che contengono recettori specifici per quella particolare modalità sensoriale. Tali informaziom sensoriali che forniscono gli input fondamentali per il sistema posturale sono combinate in vari modi e con esiti diversi. Esse possono provenire da sistemi sensoriali diversi (interazione intersensoriale) o da differenti recettori o da differenti sistemi di rilevamento all'interno di un sistema sensoriale (interazione intrasensoriale). Da non dimenticare l'importanza degli input sensoriali di ritorno che accompagnano l'attività motoria e che consentono un controllo retroattivo (reafferentazione).Ciò che più propriamente può essere educato è la ricezione e l'elaborazione di queste informazioni sensoriali a livello psichico: "solo un'educazione delle percezioni può condurre i centri superiori corticali ad esercitare un'influenza correttrice sui collegamenti sensitivo-motori automatici dei centri inferiori" (Lapierre, 1975).

L'educazione percettiva si basa essenzialmente su un lavoro di presa di coscienza delle afferenze degli stimoli sensoriali; per presa di coscienza di una nostra attività motoria possiamo intendere ciò che noi proviamo mentre è in funzione il sistema neuromotorio responsabile di quella specifica attività; quindi la presa di coscienza implica semplicemente "l'esercizio di una forma di attenzione incentrata sul proprio corpo e sulle sue modalità di funzionamento" (Le Boulch, 1975). In altre parole il soggetto seleziona i messaggi sensoriali, concentrando la propria attenzione sulle informazioni utili provenienti dal proprio corpo, dai propri movimenti, dall'ambiente, favorendo l'accesso alle informazioni specifiche desiderate ed attenuando od escludendo le informazioni sensoriali disturbanti o interferenti col processo percettivo in atto.La funzione percettiva diventa così un processo attivo e selettivo, in cui il soggetto, intenzionato ed orientato a percepire determinati stimoli sensoriali, modifica positivamente la soglia di percezione grazie a condizioni attentive, emotive, ambientali, nonché a condizioni legate all'apprendimento e all'esperienza.Spesso un cattivo controllo del proprio corpo può essere dovuto ad un deficitario sviluppo delle funzioni gnostico-percettive, a carenza di esperienze corporee significative vissute, ad una condizione di tensione psico-emotiva.Proporre esperienze corporee significative, immergere il soggetto in un "bagno senso-percettivo", offrire l'opportunità di prendere coscienza delle proprie tensioni muscolari croniche in un'ottica bioenergetica: tutto ciò può aiutare il paziente ad essere maggiormente padrone del proprio corpo, e rendere il lavoro terapeutico in posturologia più attivo e cosciente e quindi più a misura d'uomo.Questo è il senso di una simile proposta, tesa ad integrare lo specifico lavoro sull'alterazione morfologica e gli input posturali, proprio della posturologia, con un attento processo senso-percettivo-motorio di analisi ed elaborazione delle modificazioni delle strategie posturali messe in atto dal soggetto.E' da tutto questo che dobbiamo partire per impostare la riabilitazione nel senso più completo del termine, vale a dire sia strettamente meccanico ma anche e, per certi versi, soprattutto posturale dei pazienti.Sulla base di questi concetti dobbiamo concepire l'atteggiamento e le curve vertebrali che ne derivano non come un equilibrio meccanico ma come un equilibrio neuromotorio. E' la risultante di un'infinità di riflessi sensitivo-motori integrati, ai diversi piani del neurasse, in una regolazione automatica complessa.L'atteggiamento naturale non è né cosciente, né volontario; costituisce un modo di reazione personale a uno stimolo costante: il peso.Il punto di partenza delle contrazioni toniche equilibratici è infatti sempre sensitivo: stiramento muscolare, tensione dei legamenti, sensazione di flessione articolare, sensazione di pressione piantare, sensazione di "squilibrio" dovuto allo spostamento degli otoliti dell'orecchio interno. Tutte queste sensazioni sono indotte dalla forza di gravità.Partendo da questa concezione, non si può concepire l'educazione dell'atteggiamento come un'educazione delle contrazioni, ma come un'educazione delle sensazioni e delle percezioni. Il sistema muscolare appare solo in funzione di esecutore fedele degli impulsi motori spinti dalle sensazioni di gravità. Su questo fondo propriocettivo si innestano le modulazioni affettivo, perché l'atteggiamento è anche un comportamento, un comportamento sociale e un modo di espressione della personalità profonda.L'atteggiamento naturale, costituito su queste basi complesse, registrato nei centri superiori ideomotori sotto la forma di uno " schema di atteggiamento " che non è altro se non la rappresentazione mentale che può farsi il soggetto del suo equilibrio generale, rappresentazione che risulta dalla fusione dei dati propriocettivi ed esternoricettivi (in particolare visivi). Questo schema di atteggiamento diventa allora la " base di riferimento" inconscia al quale l'atteggiamento tenderà sempre ad adattarsi.Queste sono le direttive che devono guidarci nell'educazione e nella rieducazione dell'atteggiamento.Chiarito questo, è evidente che ogni individuo si equilibra non soltanto con il suo temperamento ma anche con le sue caratteristiche morfogenetiche ( che sono più o meno legati l'uno alle altre).I fattori morfologici (forma del cranio, forma del sacro, tipo di rachide, lunghezza dei segmenti, eccetera) e i fattori fisiologici (rigidità o rilassamento legamenti, ampiezza e limitazioni articolari, forza muscolare, eccetera) sono egualmente da prendere in considerazione. Tuttavia non appaiono più come elementi essenziali; essi sono i " materiali" con i quali si costruisce l'atteggiamento, il " maestro di tutta l'opera " resta sempre il sistema neuro-psico-motorio.Sembra che questo sistema abbia la capacità, nel corso di una rieducazione ben condotta, di assicurare da solo, e senza intervento meccanico esterno, una certa normalizzazione della fisiologia articolare.

La concezione neuromotrice non esclude la meccanica. Ci sembra anzi che essa abbisogni di un'analisi meccanica più sottile nella misura in cui cerca di definire con precisione " il punto di scatto" dei riflessi tonici equilibratori.Questa meccanica diventa una meccanica viva, che risente e provoca a sua volta gli equilibri e gli squilibri.Ogni segmento è infatti equilibrato a ogni istante da due forze eguali e direzione contraria:- da un lato il suo peso e quello dei segmenti superiori;- dall'altro, la tensione dei muscoli o dei legamenti che equilibra quel peso.E' questo un fenomeno meccanico, ma perché questo equilibrio si stabilisca, bisogna che il segmento sia condotto e ricondotto in modo costante in questa posizione mediante una coordinazione generale dell'equilibrio. E' necessario che la tensione muscolare sia sempre esattamente proporzionale alla componente di rotazione del peso che varia costantemente in funzione dell'obliquità del segmento e che, se questa obliquità si inverte in rapporto alla verticale, anche la tensione muscolare s'inverta immediatamente e automaticamente passando negli antagonisti.Tutti questi fenomeni di adattamento sono fatti scattare dalle sensazioni propriocettive muscolo-articolari; sono fenomeni neuromotori.I dati anatomo-meccanici non si concepiscono dunque se non integrati nel vasto insieme delle regolazioni neuropsicomotrici dell'atteggiamento.
L' atteggiamento normale, come l' uomo normale, è un'astrazione.Nel senso laterale, il piano di simmetria del corpo fornisce un facile riferimento; l'atteggiamento normale è un atteggiamento simmetrico. Sul piano antero-posteriore invece, le norme dell'atteggiamento sono abbastanza mal definite.Ad esempio, a partire da quale angolazione, la lordosi lombare fisiologica diventa una iperlordosi? A partire da quale momento invece, si può dire che tende all'inversione? Questo rilevamento molto soggettivo è generalmente basato sul colpo d'occhio morfologico dell'esaminatore che fa riferimento, più o meno inconsciamente, alle sue concezioni estetiche.In realtà, gli individui, non essendo "costruiti" con elementi anatomici identici, non possono avere un atteggiamento " normale" morfologicamente identico.D'altronde è possibile, qualunque sia la morfologia del soggetto, determinare un principio generale di equilibrazione normale e desiderabile; si può dire che: "un atteggiamento nel quale ogni segmento occupa una posizione vicina alla sua posizione di equilibrio meccanico è un atteggiamento normale.Questo equilibrio normale, nella misura stessa in cui è vicino alla stabilità meccanica, è un equilibrio fragile; le contrazioni equilibratrici sono qui di debole intensità e spesso di corta durata, poiché il centro di gravità tende facilmente a passare da un lato all'altro del suo punto di equilibrio.E' un equilibrio meccanicamente economico dato che richiede uno sforzo minimo per essere mantenuto e ristabilito. Necessita invece di una modulazione particolare e precisa del tono di posizione; in special modo abbisogna di una grande sensibilità dei ricettori propriocettivi che devono essere in grado di reagire immediatamente a stimoli molto brevi per durata e intensità.Questo equilibrio richiede inoltre un coordinamento intersegmentario e soprasegmentario incessante, poiché si rivolge ai centri automatici più alti in maniera continua.Questo equilibrio che esige in permanenza la sorveglianza neuromotrice è un equilibrio che neurologicamente affatica.Lo sforzo che, come abbiamo visto, tende sempre a turbare i legami sinaptici, tende dunque a distruggere questo equilibrio, obbligando il soggetto ad adottare un equilibrio meccanicamente più affaticante, ma che abbisogna di un controllo sensitivo-motorio meno preciso e meno rapido.Questo equilibrio di fatica si ricollega a quelli che troveremo a proposito degli " atteggiamenti errati".I segmenti, trovandosi in una posizione vicina alla loro posizione di equilibrio, possono essere mobilizzati immediatamente senza inerzia, in qualsiasi direzione; è un equilibrio di disponibilità che permette un adattamento rapido al gesto dinamico.Il mantenimento di questo equilibrio di disponibilità nel corso dei movimenti di locomozione e di presa contribuisce grandemente alla loro efficacia e alla loro armonia.Questo equilibrio di vigilanza e di disponibilità esprime anche il comportamento psicologico del soggetto: confidenza in se stesso, equilibrio, apertura verso il mondo esteriore disponibilità all'azione.Esige inoltre una buona integrazione dello schema corporeo e un atteggiamento correttamente stabilito.

Se per un dato soggetto vi è un solo atteggiamento normale, vi sono però numerosi atteggiamenti errati possibili.Questi atteggiamenti, nella loro diversità, hanno tuttavia una caratteristica comune: sono " atteggiamenti stabilizzati" ". I segmenti, anziché oscillare in vicinanza della loro posizione di equilibrio, hanno accentuato la loro obliquità e si sono stabilizzati utilizzando sia una tensione dei legamenti, sia una tensione muscolare tonica permanente e di intensità praticamente costante.Queste obliquità successive e in senso inverso fanno capo ad atteggiamenti "ad arco" o " a fisarmonica".Se analizziamo le caratteristiche meccaniche e neuromotrici di questi atteggiamenti. appuriamo che, sul piano meccanico, la componente di rotazione del peso è tanto più grande quanto più il segmento è obliquo , pertanto la forza necessaria per equilibrarlo sarà maggiore in proporzione.Se l'obliquità presa dal segmento è sufficiente affinché il "cedimento" diventi legamentario, la soluzione può apparire abbastanza economica, ma l'obliquità compensatrice dei segmenti superiori e inferiori non può essere sempre equilibrata da una tensione dei legamenti e deve dunque fare appello alla tensione muscolare tonica. Il consumo di energia è dunque in definitiva costante e considerevole, perché gli atteggiamenti errati sono meccanicamente affaticanti.Sul piano neuromotorio - il " cedimento" legamentario è particolarmente stabile e non necessita della vigilanza dei muscoli antagonisti;- il "cedimento" muscolare è assicurato da una tensione tonica permanente che si mantiene da sé con il solo riflesso miotatico, rnodulato. a livello segmentario, dall'anello gamma .Le regolazioni soprasegmentarie saranno poco sollecitate.Ne deriva una stabilità acquisita con un minimo di regolazione neuromotrice; gli atteggiamenti errati sono atteggiamenti di pigrizia neuromotrice. Bisogna d'altra parte notare, e questo è molto importante per la rieducazione dell'atteggiamento, che il limite di reazione dei ricettori propriocettivi è fortemente aumentato; occorre una notevole obliquità, quindi uno stimolo gravitario considerevole, per far scattare la contrazione tonica d'arresto. Dal momento in cui diminuisce l'obliquità, l'intensità dello stimolo si abbassa e non raggiunge più il limite dei ricettori; la contrazione equilibratrice cessa e il segmento ricade nella sua obliquità abituale.Generalmente questa iporeattività viene spiegata in due modi:- sia per un'elevazione del limite dei ricettori;- sia per una elevazione del limite dei neuroni motori tonici che risponderebbero ad una eccitazione sensitiva rilevante.Sembra tuttavia che l'ammanco porti essenzialmente alla sensazione.L'esperienza quotidiana della " ginnastica correttiva " prova infatti che i soggetti che presentano un atteggiamento errato non percepiscono la posizione dei loro segmenti al di là della loro obliquità abituale.La percezione fa appello solo alle vie sensitive. L'atteggiamento normale non potrà essere ristabilito se non nella misura in cui sensazioni affini condurranno i riflessi equilibratori a scattare verso un'obliquità segmentaria vicina all'equilibrio stabile.Da un punto di vista dinamico il calo stabilizzatore dei segmenti comporta evidentemente una certa inerzia nello scatto e nell'accompagnamento dei gesti dinamici.D'altra parte, l'elevazione del limite dei propriocettori crea difficoltà di adattamento alle perturbazioni dell'equilibrio e in particolare agli equilibri dinamici.Da un punto di vista psico-motorio, questa ricerca di una stabilità assicurata senza vigilanza esprime una mancanza di fiducia in se stessi, un atteggiamento di ripiego e di inerzia verso la vita.

Rieducare l'atteggiamento
Come procedere per rieducare l'atteggiamento?

Abbiamo visto che tutte le deviazioni dell'atteggiamento, qualunque sia il loro aspetto morfologico, sono sempre prodotte da una deficienza dei meccanismi neuro-psicomotori. Si può dunque concepire, in funzione di questa origine comune, una identica rieducazione che miri a ristabilire un equilibrio medio, vicino all'equilibrio meccanico.La rieducazione consiste per ognuno (in funzione della sua morfologia) nella ricerca di una soluzione personale che faccia capo a questo equilibrio. La rieducazione non si accontenta delle soluzioni " tipo " e imposte. Il nostro ruolo non è dunque quello di imporre un atteggiamento " corretto " volontario, che sarebbe solamente uno " standard" inutilizzabile nelle circostanze normiali di vita , ma è soprattutto quello di fornire a ciascuno gli elementi percettivomotori che gli permettano di costruire da sé un atteggiamento naturale e " plastico" adattabile a tutte le circostanze. Questa rieducazione avverrà per tappe.Queste tappe costituiscono contemporaneamente:- sul piano neuromotorio, un affinamento delle percezioni propriocettive e una progressiva integrazione di queste percezioni nella regolazione automatica del tono posturale;- sul piano psicomotorio, una progressiva organizzazione dello schema corporeo prima, dello schema dell'atteggiamento.Possiamo ritrovare queste tappe nella seguente progressione:

Educazione delle percezioni propriocettive:

- educazione dello schema corporeo;
- padronanza affettivo-motrice.

Dissociazione delle sinergie preesistenti:

- indipendenza dei movimenti segmentari.
- liberazione neuromotrice dell'anca.
- liberazione della spalla.
- liberazione e padronanza della respirazione.

Educazione percettiva dell'equilibrio:

- percezione degli equilibri segmentari
- percezione dell'equilibrio generale.
- schema di atteggiamento.

A utomatizzazione dell'atteggiamento:

- automatizzazione degli equilibri segmentari.
- automatizzazione dell'equilibrio generale nel corso delle attività dinamiche orientate verso un fine.
- automatizzazione della flessione coxo-femorale.

Questa divisione è naturalmente abbastanza arbitraria. In realtà, questi differenti aspetti interferiscono costantemente nella pratica e si integrano in un'azione rieducativa globale e unificata.

Educazione delle percezioni
Educazione delle percezioni propriocettive e dello schema corporeo.

Questa educazione si farà durante il corso di rieducazione in occasione di ogni esercizio, tuttavia sembra che il sistema più specifico e più efficace sia il rilassamentoEsistono varie tecniche di rilassamento; qualunque sia la metodica prescelta, è importante che alla seduta di relax si riserbi un adeguato spazio di tempo: per le prime sedute non si può disporre di meno di quarantacinque minuti. Quando il paziente abbia appreso i particolari della tecnica, si potrà abbreviare i tempi di esecuzione; quando il rilasciamento costituisce la fase preparatoria ad un altro procedimento fisioterapico, allora lo spazio ad esso dedicato potrà restringersi ad una decina di minuti, questo ovviamente, solo dopo che la corretta tecnica di esecuzione sarà stata assimilata dal paziente.La consueta tranquillità dell'ambiente in cui va praticata la fisioterapia, andrà curata con rigore particolare, così che tutti gli stimoli sonori e luminosi o conseguenti ad una scorretta regolazione termica, vengano evitati categoricamente.

METODO DI SCHULTZ (TRAINING AUTOGENO)

E questa una tecnica di rilassamento che insegnamo al paziente , per poi autoapplicarla nella propria abitazione, così da ottenere modificazioni psicofisiche globali del suo stato di tono. Su di essa ci pare opportuno dilungarci un po', sia per il suo indubbio valore terapeutico, sia perché la sua sempre più ampia diffusione (anche nello sport, nella preparazione agli esami, ecc.).Insistiamo sul paziente affinchè, quando praticherà il rilassamento a casa propria, curi particolarmente la situazione ambientale, che deve essere quanto più possibile favorevole al rilassamento: ambiente molto tranquillo, in condizioni di temperatura ottimale, con limitata illuminazione a luce diffusa. Il paziente giacerà supino per terra, su un tappeto, su un plaid; ogni stimolo di fame, di sete o di altri bisogni fisiologici andrà preventivamente allontanato. La posizione deve essere quanto possibile abbandonata, la testa sostenuta da cuscino , gli arti superiori ben appoggiati al piano , quelli inferiori lievemente abdotti ed extrarotati.Il paziente terrà gli occhi chiusi e dovrà compenetrarsi nella formula io sono perfettamente calmo. E' la cosiddetta fase della induzione alla calma. Questa fase può durare da pochi minuti a 15-20 minuti.Seguono gli esercizi del primo ciclo o ciclo inferiore, distinti in:1° esercizio: il soggetto si concentra mentalmente sulla formula il mio braccio destro è davvero pesante. Lo stesso fa per il braccio sinistro, e per gli arti inferiori, fino a coinvolgere in una sensazione di pesantezza generale tutto il corpo. La perfetta attuazione di questo primo esercizio viene raggiunta dopo più sedute;
2° esercizio: la formula su cui concentrarsi è ora il mio braccio è davvero caldo e così di seguito per gli arti e per tutto il corpo con la stessa successione dell'esercizio precedente. Il soggetto si immaginerà l'arto e il corpo riscaldato dal sole, su di una spiaggia, oppure di essere avvolto da panni caldi o di trovarsi d'inverno accanto al focolare;3° esercizio: la formula è il cuore mi batte regolare. Il soggetto deve appunto cercare di apprezzare questa sensazione;4° esercizio: sentire il proprio respiro., ripetendo io respiro tranquillo;5° esercizio: ricercare la sensazione di calore addominale6° esercizio: avvertire una sensazione di fresco alla fronte..Quando il paziente è padrone di queste tecniche, da questo che è il ciclo inferiore, si può passare al ciclo superiore, di tipo psicoanalitico, anche esso diviso in più stadi: in un primo stadio il paziente dirige i bulbi oculari verso l'alto e verso la linea mediana, ponendosi in uno stadio di preipnosi e, in tale stato, gli vengono proposte varie successive sensazioni: pensare ad un colore uniforme, pensare un oggetto, pensare a dei concetti astratti (la felicità, la giustizia, ecc.), ricordare una esperienza piacevole che vorrebbe rivivere, pensare ad una persona concreta. Alla fine si può giungere ad uno stadio di introspezione profonda assimilabile a quello che si raggiunge con la meditazione trascendentale.

METODO DI COURCHET (LA RESPIRAZIONE DINAMICA RILASSANTE - R.D.R.)

E un metodo di rieducazione psico-motoria che muovendo dall'impiego della tecnica rieducativa dell'insufficienza respiratoria cronica, ne ampia gli indirizzi e le indicazioni con esercizi dinamici, muscolari e fasi (li recupero in rilassamento completo. Negli esercizi, effettuati in ortostatismo, da seduti ed in decubito orizzontale (i tre decubiti della vita, secondo l'autore), vengono coinvolti essenzialmente i muscoli del collo, della spalla, del bacino e del tronco. Il metodo, che il suo creatore ha definito "psico-ventilatorio", va appreso in un programma da svolgere nell'arco di due mesi, attraverso fasi successive ed in parte concomitanti di rieducazione respiratoria, training autogeno di Schultz ed esercitazioni di suggestione psichica. L'originalità della tecnica risiede appunto in questi suoi aspetti più propriamente mentali, dove sembra di accertare una particolare simpatia per le pratiche filosofiche orientali; qui il soggetto è portato a situarsi in un dato atteggiamento mentale di fronte alla presa di coscienza degli atti respiratori addominali, in cui si susseguono le fasi successive di concentrazione, meditazione e contemplazione.

METODO DI WINTREBERT

Questo metodo, particolarmente indicato nell'educazione psicomotoria dell'infanzia, si basa sulla mobilizzazione passiva in successione delle differenti parti del corpo. Il soggetto deve proporsi di non opporre nessuna resistenza e di lasciarsi passivamente manipolare, dapprima nelle singole parti, e poi in tutto il corpo: deve lasciarsi rotolare, trasportare, trascinare su di un telo, sia da parte dell'istruttore sia, sotto forma di gioco, da parte di coetanei o dei compagni di gioco. Viene sfruttato anche come "dialogo tonico", cioè come comunicazione attraverso il contatto fisico e l'espressione corporea, nella rieducazione psicomotoria.

METODO DI JACOBSON

Senza entrare nei particolari teorici di questo metodo, diciamo che è basato essenzialmente sulla percezione del rilassamento che segue una contrazione o una tensione muscolare localizzata. L'educazione di queste percezioni permette di sentire e di realizzare il rilassamento totale di ogni gruppo muscolare quindi del corpo intero. Consente di ottenere una risoluzione per le tensioni parassitarie e di conseguenza per le tensioni psichiche che esse esprimono.Questo metodo di rilassamento permette anche, sul piano somatico, di prendere coscienza delle tensioni più particolari e più localizzate, e consente di ottenere una percezione anche delle più piccole cose. Realizza dunque, dal punto di vista neuromotorio, una educazione progressiva delle percezioni propriocettive nei minimi particolari.Dal punto di vista psicomotorio, la posizione sdraiata, l'immobilità totale, il rilassamento degli altri segmenti favoriscono la concentrazione mentale sulla sensazione propriocettiva localizzata.Il soggetto parte alla scoperta del suo corpo " dall'interno ". Da questa esperienza abbastanza inconsueta deriva un arricchimento dell'immagine mentale del corpo, cioè dello " schema corporeo ".Sembra che sia importante cominciare ogni seduta di rilassamento dal viso (palpebre, sopracciglia, mascelle, labbra, globi oculari).Questa tecnica, esaltata da Aucouturier, consente di favorire fin dall'inizio il " rilassamento affettivo ", condizione preliminare per una disponibilità psico-percettiva. I muscoli del viso sono infatti i muscoli essenziali dell'espressione affettiva e il loro rilassamento funziona da calmante alle tensioni psichiche.Quando si sono ottenute la calma e l'immobilità, si può passare a un rilassamento segmentario sistematico. Pensiamo sia meglio, a questo punto, incominciare dagli arti superiori (braccio, avambraccio, polso, mano) . Benché questi intervengano poco nell'atteggiamento, tuttavia rappresentano i segmenti meglio integrati nello schema corporeo, quindi il loro rilassamento sarà quello più facilmente e più rapidamente sentito.Quando si sarà ottenuto il rilassamento dell'arto superiore, quello degli altri segmenti sarà facilitato, grazie alle sensazioni già percepite dai diversi segmenti del braccio.
Si cercherà allora sistematicamente il rilassamento di ogni parte del corpo:
- cingolo delle scapole;
- arto inferiore: anca, ginocchio, piede ;
- tronco, bacino e rachide lombare, rachide dorsale e cervicale;
- gabbia toracica.

IL METODO MEZIERES

Un contributo enorme alle tecniche posturali è stato dato da Francoise Mezieres fin da quando nel 1947 venne pubblicato il suo libro "Rivoluzione in ginnastica ortopedica: cause e trattamento delle deviazioni vertebrali e algie di origine muscolare". Con questo lavoro la Mezieres mise in discussione i principi della ginnastica allora vigente e dei trattamenti dei dismorfismi, dando vita ad una vera e propria rivoluzione culturale, aiutata per lungo tempo da un suo allievo Philippe Emmanuel Souchard. Molti altri, soprattutto di scuola francese, da M. Bienfait a T. Bertherat, hanno successivamente contribuito a sviluppare una vera e propria scuola di pensiero che, forse impropriamente, viene definita a volte come "antiginnastica", a volte come "ginnastica dolce".
I principi del metodo possono essere così riduttivamente riassunti:1. I muscoli posteriori si comportano come una unica catena muscolare.2. A causa delle continue sollecitazioni per opporsi alla forza di gravità, i muscoli della catena posteriore sono rigidi e contratti; vanno quindi rilasciati e non rinforzati.3. Il rilasciamento deve essere fatto in toto e non sui singoli muscoli.4. La correzione settoriale causa lateroflessioni e rotazioni sia della colonna che degli arti.5. La tensione della catena posteriore provoca la rotazione interna degli arti ed il blocco del diaframma in inspirazione.6. Il diaframma bloccato in questo modo è il principale responsabile della lordosi.7. Ciò che si oppone ad una respirazione libera non è il blocco del diaframma in sé ma la retrazione della muscolatura posteriore.
Da questi principi consegue che qualsiasi rinforzo muscolare grava sulla colonna e crea a lungo andare problemi strutturali; qualsiasi stretching locale ottiene l'elasticità di un segmento a spese di un altro, e quindi solo stirando tutto si possono avere dei risultati, laorando contemporaneamente sulla respirazione.Quindi soltanto attraverso delle contrazioni isometriche eccentriche è possibile allungare le catene muscolari, guadagnando in forza ed elasticità.Per ottenere tutto ciò, il paziente viene messo in una posizione, o "postura", di stiramento globale, che evidenzierà gli squilibri. Si procederà quindi ad un lavoro di eliminazione dei compensi e ad un lavoro isometrico eccentrico di allungamento degli agonisti e contemporaneamente di rinforzo degli antagonisti, il tutto curando in modo preciso, senza tensione diaframmatica, la respirazione.La Mezieres si rese conto benissimo che, mentre portava i corpi a liberarsi di atteggiamenti, posture e tensioni acquisite nel tempo, creava un processo di crescita interiore con tutte le sue implicazioni emotive.Tuttavia ribadiva "non siamo psicologi…..il mio metodo non è dolce….si rivolge all'elasticità muscolare, non rinforza mai, non usa l'inspirazione e si rivolge solo al fisico".Si può comunque affermare tranquillamente che con questo metodo è nata veramente in Europa la prima rivoluzione nelle terapie fisiche e nella ginnastica.
Per concludere, quando un paziente viene nel nostro studio, ci preoccupiamo sempre, possibilmente in collaborazione con altri specialisti, di fare una riabilitazione completa.Sia che si tratti di una distorsione, di una periartrite, di un intervento chirurgico o della colonna nel suo insieme, dobbiamo riabilitare il paziente con il Suo problema, non il problema del paziente.E' quindi indispensabile usare le varie tecniche di riabilitazione, sia strettamente meccaniche sia di rieducazione allo schema motorio, adattandole di volta in volta alle esigenze specifiche di ogni paziente e soprattutto coinvolgendolo in modo tale da renderlo soggetto nella propria riabilitazione.
IL METODO "LE TRE SQUADRE"
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Trattamenti urologici

Incontinenza urinaria

L'incontinenza urinaria è una condizione che affligge la vita di un grande numero di uomini e donne in tutto il mondo. Sebbene raramente metta a rischio la vita, tuttavia condiziona negativamente la qualità della vita, causando invalidità e sofferenza a chi ne soffre e una significativa morbilità per la società.Negli Stati Uniti il National Istitutes of Health ha dimostrato come l'incontinenza urinaria non sia solo un problema medico ma anche economico, costando più di 12 miliardi di dollari l'anno. L'incontinenza urinaria condiziona la vita del 15 - 30 % di donne di tutte le età sotto il profilo sociale, psicologico, occupazionale , domestico, fisico e sessuale. Molte donne tentano di nascondere il problema a tutti, spesso incluso il marito, a causa della vergogna che provano. Tradizionalmente la terapia dell'incontinenza urinaria era eminentemente chirurgica o farmacologica; nell'ultimo decennio c'è stata una larga diffusione di metodiche comportamentali e soprattutto riabilitative. E' assai importante, in stretta collaborazione con il ginecologo e l'urologo, effettuare una preliminare ed attenta valutazione delle condizioni cliniche associate all'incontinenza urinaria e definire bene il tipo di incontinenza presente ( da stress, da urgenza, mista o da overflow).In ogni caso le tecniche rieducative, opportunamente attuate a seconda del problema specifico, hanno tutte come obiettivo il miglioramento delle "performances" perineali sì da poter permettere al perineo di poter esplicare adeguatamente le sue funzioni di supporto dei visceri pelvici, di rinforzo sfintero-uretrale e di contrasto alle iperpressioni endoaddominali.Ogni singola disfunzione richiede un adeguato trattamento, ivi compresa l'individuazione dei fattori di rischio per incontinenza urinaria e per prolasso genitale.La riabilitazione uro-ginecologica che pratichiamo si fonda essenzialmente sul biofeedback (BFB), sulla chinesiterapia pelvi-perineale (CPP) e sulle stimolazioni elettriche funzionali; di volta in volta va formulato il programma più idoneo, privilegiando l'una o l'altra delle metodiche dopo una accurata valutazione del caso. In generale, comunque, i migliori risultati si ottengono associando i tre tipi di trattamento.

Biofeedback

Il BFB è un mezzo attraverso il quale registrare alcune attività fisiologiche non apprezzabili a livello cosciente in condizioni normali o divenute tali per un processo patologico; è costituito da un "trasduttore" fisiologico, un amplificatore, un elaboratore del segnale e un evidenziatore per il soggetto ricevente l'informazione (Basaglia 1984).Scopo essenziale è quello di rilevare l'entità e la forza di una contrazione muscolare, la posizione di una articolazione o di un segmento corporeo, la direzione in cui si sta muovendo e la correttezza del risultato ottenuto rispetto ad un compito prefissato.Tale metodica non consiste quindi in un trattamento chinesiologico in senso stretto, bensì entra a far parte del più ampio capitolo della rieducazione neuro-motoria fornendo delle informazioni che aiutano il paziente a raggiungere un miglior controllo della funzione muscolare.La tecnica più usata è generalmente quella elettromiografica che consiste nel registrare la differenza di potenziale provocata da una contrazione muscolare e nel restituirla sotto forma do informazione sensoriale quantificata.Gli elettrodi vengono posizionati nella seduta iniziale di apprendimento su gruppi muscolari sani: in tal modo il paziente impara a riconoscere i segnali collegati ad uno stato di contrazione, di rilassamento e di contrazione muscolare associata o co-contrazione. Successivamente, dopo la seduta preliminare, i segnali elettrici vengono amplificati, elaborati, semplificati e quindi rinviati al paziente sotto forma di stimoli sensoriali, uditivi o visivi, tali da essere facilmente recepiti ed interpretati.Molte donne anche per fattori culturali hanno una scarsa coscienza del pavimento pelvico e non sono in grado di contrarre volontariamente la muscolatura perineale e quindi il BFB si rende spesso necessario al fine di ottenere una migliore presa di coscienza della muscolatura pelvica in quelle pazienti che presentano un deficit non neurogeno.

Stimolazioni Elettriche

La continenza urinaria è strettamente dipendente da una corretta innervazione centrale e periferica e da una assenza di lesioni intrinseche delle basse vie urinarie e del pavimento pelvico. Numerosi riflessi sono stai chiamati in causa nella regolazione della funzione vescico-sfinterica (Barrington, 1915; Mahony, 1977). I meccanismi periferici coinvolti nel processo d inibizione vescicale sono rappresentati dagli archi riflessi pelvico-ipogastrico e pudendo-ipopgastrico (ad azione facilitatoria) e dall'arco riflesso pudendo-pelvico (ad azione inibitoria). E' stao dimostrato che l'inibizione riflessa (rilasciamento) della muscolatura uretrale (liscia e striata) e del pavimento pelvico è associata ad una contrazione detrusoriale. Parimenti l'inibizione detrusoriale, dovuta ad un tonico riflesso inibitorio esercitato dalle strutture sovraspinali sul centro minzionale sacrale, è influenzata in via riflessa dalla contrazione della muscolatura sfintero-perineale.La stimolazione elettrica può normalizzare l'attività dei recettori di stiramento nell'ambito della muscolatura perineale e rendere più stabile il centro sacrale della minzione; può inoltre migliorare la resistenza alla fatica e la forza contrattile della uscolatura pelvica, con successivo beneficio del meccanismo di chiusura uretrale in corso di stress.Teoricamente le modalità di elettrostimolazione sono le seguenti:· stimolazione perineale;· stimolazione delle radici sacrali anteriori; · stimolazione sacrale intradurale (secondo Brindley), extradurale (secondo Tanagho) o intraforaminale (secondo Schmidt);· stimolazione intravescicale.Nell'elettrostimolazione perineale gli elettrodi di più largo impiego sono elettrodi endocavitari (endovaginali) o gli elettrodi di superficie (impiegati nella tecnica TENS o nelle correnti interferenziali).Gli elettrodi intra-cavitari sono posizionati (in genere sono due o tre) a forma di anello su sonde vaginali di varia grandezza. E' ovvio che le sonde di elettrostimolazione devono essere in funzione delle condizioni clinico-anatomiche della paziente (forma e lunghezza della vagina, qualità della muscolatura perineale, tipo e grado di eventuale prolasso vaginale. Le apparecchiature di elettrostimolazione sono di tipo "compatto" (ambulatoriale) o miniaturizzato (per uso domiciliare); ambedue i tipi di apparecchiatura erogano per lo più correnti bifasiche (obbligatorie per trattamenti domiciliari), per annullare eventuali effetti elettropolari.Il problema della disinfezione e della sterilizzazione delle sonde può essere risolto con l'utilizzo dello Sporicidin (soluzione a base di fenolo e glutaraldeide).Un discorso importante nell'elettroterapia dell'incontinenza è rappresentato dalle correnti interferenziali, che presentano alcune indubbie qualità:· la loro larga diffusione (in Gran Bretagna e Australia in particolare);· la loro ottima azione trofico analgesica in profondità;· la non necessità di ricorrere ad elettrodi endocavitari.La corrente interferenziale può indurre una stimolazione muscolare in un muscolo normalmente innervato, indipendentemente dalla ricerca dei suoi punti motori specifici ed evitando gli effetti collaterali, a livello cutaneo, indotti da altri tipi di corrente nell'intento di ottenere una maggior penetrazione in profondità.L'obiettivo della terapia interferenziale è quello di indurre un effetto stimolante sulla muscolatura del pavimento pelvico (principalmente rappresentata dal muscolo elevatore dell'ano), al fine di determinare:· la presa di cosacienza della muscolatura stessa;· un miglioramento del suo tono e del trofismo;· l'inibizione riflessa del detrusore (Nakamura et al.,1986; Ohlsson et al., 1986).Per una efficace terapia interferenziale è fondamentale il rispetto di due parametri:1. un adeguato posizionamento degli elettrodi;2. la selezione di appropriati parametri elettrici, a seconda del tipo di incontinenza urinaria a cui ci si rivolge.Per quanto concerne il posizionamento degli elettrodi , vi sono due metodiche, che possono essere applicate: la bipolare e la tetrapolare. Il trattamento può essere eseguito quotidianamente o a giorni alterni; un ulteriore schema di applicazione degli elettrodi è quello con due elettrodi posti superiormente, in corrispondenza della regione retrotrocanterica e gli altri due posti inferiormente, al di sotto della piega glutea (Savage, 1984).

Fisioterapia

Nella riabilitazione dell'incontinenza urinaria la chinesiterapia occupa un posto di primaria importanza, rappresentando la congiunzione tra movimento (chinesis) e cura (terapeia); per chinesiterapia si deve intendere l'insieme delle forme di attivazione muscolare e degli esercizi articolari semplici e complessi diretti ad un fine terapeutico, che abbiano cioè per scopo il miglioramenro dell'aspetto posturale e dinamico del corpo umano. Le varie manovre usate si usano schematicamente, ed in modo puramente aaccademico, dividere in passive, attive, attive contro resistenza e posturali; ma ormai la comprensione dell'importanza del "conoscere se stessi", dello schema corporeo quale centro organizzatore di afferenze ed efferenze e nello stesso tempo da queste organizzato, la prevalenza della coscienza del movimento rispetto alla meccanica muscolare ed articolare hanno trasformato l'atto di chinesiterapia in una serie di modificazioni della sfera "funzionale" di un individuo che possono andare ben oltre l'atto stesso. Allo stato odierno sarebbe ben più corretto suddividere gli esercizi riaabilitativi in atti che non richiedono l'attenzione del paziente ed in esercizi che ne devono coinvolgere pienamente la coscienza.Relativamente alle metodiche usate la classificazione suggerita dal Boccardi mantiene ancora un indiscutibile valore schematico e didattico:

· chinesiterapia passiva, suddivisa in:
1. allineamento posturale passivo
2. mobilizzazione passiva in rilasciamento
3. mobilizzazione passiva forzata

· chinesiterapia attiva, suddivisa in:
1. esercizi attivi generali
2. esercizi attivi segmentari (liberi, assistiti, contro resistenza)
3. tecniche di facilitazione neuromuscolare
4. rieducazione funzionale

Il riconosciuto pioniere della riabilitazione perineale è il ginecologo statunitense Arnold H.Kegel che, oltre 40 anni, propugnò esercizi perineali per prevenire e/o trattare il prolasso genitale e l'incontinenza urinaria femminile. Ma già molti anni prima addirittura nel 1864 lo svedese Thure Brandt sosteneva che la contrazione dei muscoli adduttori coinvolgeva attivamente tutti i muscoli del pavimento, soprattutto se la paziente sollevava in alto il bacino, rinforzati da questo esercizio, i muscoli perineali opponevano una migliore resistenza alla pressione dei visceri, impedendo così sia la retroversione dell'utero che l'allungamento dei legamenti.In Italia si è assistito a partire dal 1985 ad un serio interesse nei confronti delle tecniche chinesiterapiche del pavimento pelvico; il riconoscimento della dignità scientifica delle tecniche riabilitative delle disfunzioni vescico-sfintero-perineali da parte della International Continence Society nel 1990 ha rappresentato una meta e allo stesso tempo un punto di partenza per tutti gli operatori del settore.Oggi il protocollo chinesiterapico nelle disfunzioni perineali si articola in fasi successive, messe in opera dopo una indispensabile fase preliminare con una adeguata informazione delle pazienti ed alcune sedute propedeutiche di apprendimento chinesiologico generale.Dopo alcune necessarie premesse di anatomo-fisiologia vescico-sfintero-perineale, è opportuno informare adeguatamente la paziente a proposito della patologia in atto e puntualizzare le finalità del trattamento riabilitativo; nel corso delle sedute chinesiterapiche pretrattamento è fondamentale l'apprendimento di una buona sinergia respiratoria, ottenibile solo dopo aver raggiunto un ottimale grado di concentrazione e rilasciamento.L'obiettivo generale è quello di facilitare la presa di coscienza da parte della paziente dell'attività muscolare perineale, tramite una "corticalizzazione" degli eventi motori di un'area corporea poco rappresentata a livello delle aree primarie corticali, motoria (area 4 di Brodmann) e sensitive (aree 3, 1 e 2 di Brodmann).Le fasi sequenziali del programma chinesiterapico pelvi-perineale possono quindi essere così schematizzate:· presa di coscienza della regione perineale e dell'attività muscolare dell'elevatore dell'ano;· consensuale eliminazionedelle sinergie agoniste ed antagoniste;· "training" muscolare dell'elevatore dell'ano;· automazione dell'attività muscolare perineale in concomitanza agli stress delle attività della vita quotidiana.Estremamente importante è più che mai nella riabilitazione pelvi-perineale la presa di coscienza; fattori razziali, educazionali, religiosi e iatrogeni possono determinare una scarsa "coscienza" dell'area sfintero-perineale, rendendo ragione del non infrequente povero e non corretto reclutamento motoneurale alla richiesta di una attivazione volontaria dei muscoli perineali.La conseguente minore attività afferenziale fa inoltre si che si entri in un circolo vizioso che può comportare, secondariamente, anche delle lesioni morfoistologiche dell'elevatore dell'ano.In un trattamento chinesico perineale il primo approccio è quindi sicuramente propriocettivo e si avvale di tutte le tecniche rieducative neuromotorie (facilitazioni neuromuscolari propriocettive) utilizzate per attivare il sistema nervoso centrale e per provocare, in via riflessa, una adeguata attività muscolare volontaria.Questa è sicuramente la fase più delicata dell'intero programma terapeutico, in quanto da essa dipende in gran parte il risultato terapeutico complessivo.

Induratio Penis Plastica (I.P.P.) o malattia di "La Peyronie"

La Induratio Penis Plastica (IPP) o malattia di La Peyronie, dal nome del chirurgo di Luigi XV che la scoprì nel 1743, è una malattia del pene a causa non nota, caratterizzata da una fibrosi circoscritta della tunica albuginea, la guaina scarsamente vascolarizzata che riveste i corpi cavernosi del pene. L'area di fibrosi, definita "placca", costituisce una limitazione alla elasticità della faccia del pene interessata dalla malattia durante le erezioni, determinando una curvatura verso il versante malato. Le cause, come già detto, non sono note. Il riscontro frequentissimo delle placche sulla linea mediana del pene nella regione ventrale o dorsale, ha fatto ipotizzare a moltissimi autori già negli anni sessanta e poi più di recente che, alla base del processo fisiopatologico della malattia, vi siano traumi o microtraumi ripetuti nel tempo a carico del pene eretto che determinano lesioni, anche minime, di quell'area della tunica albuginea che si trova a livello del setto di separazione tra i due corpi cavernosi (setto intercavernoso). Infatti il rivestimento dei corpi cavernosi presenta fibre circolari intorno a ciascuno di essi e fibre a decorso longitudinale che li rivestono consensualmente.Sulla linea mediana queste fibre ad andamento ortogonale tra loro si incontrano nel setto intercavernoso. Un trauma a pene eretto può scollare questi due strati di fibre lacerandoli. A queste lacerazioni, uniche o ripetute, conseguono i normali processi riparativi dell'organismo che all'inizio producono fenomeni di infiammazione locale e, nel tempo, la formazione di una cicatrice. Questa costituisce la tipica "placca" della IPP. Col passare del tempo questi processi cicatriziali si stabilizzano, vi si depositano sali di calcio col risultato finale di placche calcifiche immodificabili, tipiche delle IPP stabilizzate.
La IPP colpisce prevalentemente uomini di mezza età, molto più raramente soggetti giovani o anziani. Tale distribuzione epidemiologica viene giustificata e, allo stesso tempo, conforta l'ipotesi eziologica esposta in precedenza, mettendola in relazione a due fattori: elasticità dei tessuti e vigore sessuale.Nei giovani l'enorme elasticità dei tessuti è in grado di assorbire il traumatismo intrinseco dei movimenti coitali; negli anziani si assiste a una notevole riduzione della elasticità dei tessuti a cui però si accompagna anche una notevole riduzione di "energia" durante i rapporti sessuali. E' nella V-VI decade di vita che, pur mantenendosi un elevato stress meccanico a carico del pene eretto durante il coito, i tessuti penieni perdono più o meno gradualmente e più o meno velocemente la loro elasticità.Devine e coll. nel 1992 riportano il riscontro quasi esclusivo della IPP nella razza bianca (rari casi tra i neri e nessuno tra gli orientali).
La malattia nel 50% dei casi ha esordio improvviso e nell'altro 50% dei casi esordio insidioso e lento nel tempo. Anche questa differente modalità di presentazione del quadro sintomatologico viene ad essere in accordo con l'ipotesi eziologica che abbiamo riportato. Infatti un paziente su due ha ricordo del trauma penieno accompagnato da vivo dolore durato da pochi minuti a qualche giorno intercorso circa 1-4 settimane prima dell'insorgenza della curvatura. L'altra metà dei pazienti non ricorda invece un evento traumatico preciso. Nel primo caso è probabile che il trauma abbia provocato una lacerazione sufficientemente importante da essere corredata da dolore e impotenza funzionale più o meno lunga, nel secondo caso probabilmente una serie di ripetuti microtraumi sono alla base della malattia. Comunque insorga, la malattia conclamata si manifesta con una fase acuta e una fase di stabilizzazione. Nella fase di acuzie, che come abbiamo visto può insorgere immediatamente dopo un trauma o dopo un periodo variabile di tempo, il paziente lamenta dolore spontaneo o all'erezione e curvatura del pene in erezione e, meno frequentemente, anche in stato di flaccidità.E' questa la fase in cui va effettuata la terapia. A questa fase infatti consegue, dopo un periodo di 12-18 mesi, necessari all'organizzazione cicatriziale della placca, la fase di stabilizzazione in cui i processi infiammatori sono risolti e residua una placca calcifica inattacabile dalla terapia. E' dunque fondamentale aggredire la malattia con la terapia idonea nella fase acuta, quella in cui l'infiammazione e i processi cicatriziali sono ancora in atto, per ridurre la formazione della cicatrice e il deposito dei sali di calcio. Alla malattia di La Peyronie può associarsi un deficit erettile sia perché il dolore e la curvatura, con il conseguente dolore alla penetrazione per entrambi i partner, hanno sull'attività sessuale un importante effetto psicologico negativo, sia perché le modificazioni dei tessuti penieni, che sono alla base della possibile causa dell' IPP, concidono con quelle che concorrono al determinismo delle disfunzioni erettili organiche. Moltissimi Autori affermano che la IPP di per sé non è causa di disfunzioni erettili, ma spesso precede e/o si comporta da concausa di alcune forme di deficit erettivo organico o psicogeno.

La diagnosi andrebbe posta il più precocemente possibile.Molti Autori hanno proposto diversi protocolli diagnostici con l'utilizzo delle più svariate metodiche. Nella maggior parte dei casi la diagnosi di IPP si fa con 4 semplici modalità: 1) accurata raccolta della storia clinica del paziente (modalità e tempi di insorgenza, sintomi, manifestazioni associate, vita sessuale); 2) autofotografie, in almeno due proiezioni, che il paziente deve eseguire a pene eretto che permettono di calcolare l'esatto angolo di curvatura del pene; 3) esame obbiettivo che eseguito da mani esperte permette valutazioni estremamente precise dello stato di malattia; 4) ecografia peniena a pene flaccido e in erezione farmacoindotta.
Quando un paziente, inviato dall'andrologo o dall'urologo, viene nel nostro studio per la terapia riteniamo utile effettuare il primo atto terapeutico senza medicine o strumenti.Il colloquio, chiaro e sereno con il paziente è essenziale: un uomo, in una società ancora molto maschilista che proietta negli attributi sessuali il fondamento dell'esistenza (chi non ricorda le gare giovanili basate sulle varie dimensioni….) al quale viene diagnosticata una induratio penis si sente crollare il mondo addosso, si sente colpito nella sua parte più vitale, crede di essere il solo ad avere questa patologia. Per questo è importante cercare di sdrammatizzare subito, far capire che è una patologia molto diffusa da sempre e curabilissima, ma che spesso gli uomini, per un falso senso di vergogna, hanno nascosto tra le mura domestiche. E' importante, se possibile, coinvolgere anche la partner per il ruolo che riveste la coppia, come elemento unitario, nella evoluzione della malattia e, soprattutto, nella scelta della strategia terapeutica.Un pene curvo infatti può essere altrettanto doloroso per il paziente che per la partner col risultato che spesso evitare il rapporto sessuale diviene una scelta forzata di entrambi.Ma veniamo alla terapia vera e propria. La terapia chirurgica, che tra l'altro si va sempre più affinando, prevede interventi di escissione della placca e apposizione di patch in materiale sintetico o autologo (lembi di mucosa prelevati al paziente stesso) o interventi di impianto di protesi peniene per i rari casi di deficit erettile irreversibile, va riservata a quei pazienti che, a causa della curvatura o del deficit erettile, non possono assolutamente avere rapporti sessuali e li desiderino. Per quanto riguarda le infilrazioni con farmaci antiinfiammatori somministrati in sede perilesionale (corticosteroidi e ergoteina) molti Autori cominciano ad essere perplessi, a causa dei rischi di fibrosi reattiva al traumatismo dell'iniezione e propendono sempre di più per la somministrazione farmacologica con ionoforesi in sede ambulatoriale. Quindi esaminate la terapia chirurgica e medica di stretta pertinenza medica, veniamo al protocollo che usiamo attualmente nel nostro studio, frutto della sperimentazione e della continua revisione delle esperienze dei centri specializzati.
Vitamina E alla dose di 200-400 mg x 2 volte al di.Ionoforesi con: PrismaFibraseBentelanoppure con Verapamil
Il paziente deve essere adeguatamente preparato: in posizione supina, prendiamo un foglio di carta di alluminio, per evitare che si bagni, su cui poniamo un altro foglio di carta da lettino; i due fogli hanno un foro dal quale facciamo uscire il pene, che deve essere accuratamente pulito con alcool puro al 60% in acqua deionizzata per evitare residui e quindi interferenze con la penetrazione dei farmaci (se occorre consigliamo al paziente di effettuare una tricotomia locale). Sopra le pezzette di spugna, sempre nuove e bagnate in acqua deionizzata, poniamo uno strato di garza sterile e su questo versiamo i farmaci di volta in volta usati.Gli elettrodi vanno posizionati ai lati del pene ed usiamo una corrente di 4 milliA per almeno 25 minuti.Insieme alla ionoforesi usiamo il laser e/o gli ultrasuoni con Lioton mille sulla placca.In genere la cura dovrebbe essere effettuata, a giorni alterni, per almeno due mesi nella prima fase; successivamente è opportuno effettuare ogni due o tre mesi un ciclo di almeno dieci sedute.I risultati sono tanto più positivi quanto precoce è l'intervento che riduce la formazione della cicatrice e il deposito dei sali di calcio. In ogni caso, anche perché non è frequente vedere un paziente in fase acuta, anche successivamente i risultati sono notevoli: il dolore scompare, diminuisce la curvatura e si riduce l'area di fibrosi.A questo proposito, per quanto risulta dagli ultimi studi andrologici, mediante lo stiramento del pene, la tunica albuginea si estende/dilata e si vascolarizza meglio; per questo motivo consigliamo ai nostri pazienti di effettuare delle piccole manovre di stiramento del pene e di massaggio leggero sulla placca.

Trattamenti pre e post chirurgici

Il sempre maggior numero di persone che praticano attività sportiva a livello amatoriale ( basti pensare al calcetto, al footing, alle settimane bianche) ha comportato il fatto che alcuni traumi sono ormai diffusi e non più legati soltanto allo sport professionistico; tra questi i traumi normalmente più trattati, prima e dopo l'eventuale intervente chirurgico, sono le lesioni meniscali e le lesioni del legamento crociato anteriore. Più che mai in queste situazioni è indispensabile lavorare in stretto contato con il chirurgo ortopedico.

Lesioni meniscali

Sono abbastanza frequenti in attività che implicano movimenti rotatori del ginocchio.Un arresto improvviso, un cambio di direzione, un contrasto con un avversario senza sincronismo tra i movimenti di flesso-estensione e di rotazione sono i fattori di rischio dell'integrità meniscale.La lesione meniscale può essere isolata o associata ad altre lesioni del ginocchio, in particolare quelle capsulo-legamentose, di cui l'eventualità più frequente è la lesione del legamento crociato anteriore (LCA). Le lesioni possono essere sommariamente distinte in acute, se legate ad un evento traumatico preciso, o degenerative se dovute a vecchi traumi o ripetuti episodi microtraumatici. Nella lesione acuta si instaura quasi sempre un blocco articolare, con versamento endoarticolare; nel caso di lesione cronica la sintomatologia è più sfumata ed il paziente riferisce episodi di blocchi, dolenzie a livello dell'emirima mediale, cedimenti improvvisi, scatti articolari.Soprattutto nelle lesioni acute il trattamento è chirurgico; oggi una buona artroscopia, effettuata in anestesia generale o periferica, può tranquillamente essere eseguita in regime di day-hospital.I tempi di recupero dipendono dal tipo di intervento (i trattamenti sul menisco laterale obbligano a tempi riabilitativi più lenti). Nell'immediato post-operatorio è ovviamente indispensabile l'utilizzo della crioterapia, insieme a ginnastica isometrica e leggere stimolazioni elettriche, soprattutto del quadricipite. Dopo qualche giorno in genere si procede ad un carico parziale, si aumenta l'intensità delle stimolazioni elettriche e si imposta un buon programma di ginnastica propriocettiva.

Lesioni del legamento crociato anteriore

Itraumi distorsivi del ginocchio sono in costante aumento nelle varie discipline sportive che implicano un'attività a carico del ginocchio. La lesione del legamento crociato anteriore isolata o associata ad altre strutture articolari rappresenta secondo vari studi epidemiologici un'eventualità molto frequente. Nella maggior parte dei casi il trauma avviene senza contatto o contrasto, durante una decelerazione o un cambio di direzione o una ricaduta da un salto.La storia naturale delle lesioni del LCA è ben conosciuta e consiste in una progressiva destabilizzazione articolare che attraverso episodi successivi di cedimenti più o meno eclatanti determina un coinvolgimento dei menischi, delle cartilagini di rivestimento e delle componenti capsulo-legamentose periferiche. Il LCA è costituito da due contingenti legamentosi, uno antero-mediale teso in flessione e l'altro postero-laterale teso in estensione, che dalle spine tibiali si dirigono all'inserzione femorale nella parte posteriore della faccia mediale del condilo laterale.Nei traumi acuti è indispensabile bloccare l'articolazione, evitare il carico usando due stampelle e orientarsi su una diagnosi clinica, cioè se si tratta di una lesione isolata del LCA o associata ad altre strutture articolari o periferiche. Se il paziente è uno sportivo di solito già sul campo di gara, dopo pochi minuti dal trauma, si riesce a valutare con sufficiente attendibilità la stabilità del ginocchio attraverso i test statici e dinamici tipici (Lachman, Jerk); successivamente diventa più difficile per la comparsa del versamento (emartro), per l'impotenza funzionale e per la contrattura antalgica. Nelle instabilità croniche i cedimenti continuativi e l'insicurezza gestuale soprattutto durante l'attività sportiva indirizzano dallo specialista; in questi casi la diagnosi può essere più agevole e con maggior facilità si riesce ad eseguire i test valutativi. L'accertamento strumentale con RMN consente una significativa definizione anche di eventuali lesioni associate.Il trattamento delle lesioni del LCA è chirurgico, indipendentemente dalle attività sportive praticate dal paziente in quanto l'articolazione, come detto, va incontro a un progressivo deterioramento, soprattutto se il trauma avviene in giovane età. Viceversa l'età stessa, le motivazioni e le attitudini sportive, il peso, il sesso, rappresentano fattori di valutazione ai fini di un'indicazione chirurgica.La scelta del trapianto da innestare è uno degli aspetti più dibattuti dai chirurghi del ginocchio; abbandonati i legamenti artificiali, non scevri di problematiche, i prelievi tendinei da cadavere, il ricorso a prelievi tendinei autologhi (rotuleo, quadricipitale, semitendinoso gracile duplicati) rappresenta oggi miglior opzione a disposizione. Il post-operatorio prevede un'immobilizzazione in ginocchiera articolata di protezione per tre-quattro settimane, l'immediata attività muscolare isometrica e il carico progressivo a discrezione del paziente. Ionoforesi, laser e stimolazioni elettriche leggere accompagnano questa fase. Quindi alla rimozione dei punti di sutura si incrementa la mobilità articolare, si inizia l'attività muscolare a catena cinetica chiusa, si aumentano le stimolazioni elettriche e l'attività propriocettiva, la cyclette e la piscina. Le tappe successive prevedono l'incremento delle attività muscolari e propriocettive, insegnare al paziente a camminare correttamente e solo dopo due o tre mesi si potrà passare ad una corsa leggera . La ripresa sportiva dipende molto dalle motivazioni del paziente, ma non viene consentita mediamente prima dei cinque/sei mesi.Negli adolescenti con lesione del LCA, che praticano attività sportiva, in genere si consiglia di eseguire la riparazione chirurgica, non potendo controllare l'instabilità articolare e il potenziale degrado con il potenziamento muscolare e una ginocchiera funzionale fino al termine dell'accrescimento.Nei pazienti non più adolescenti , che non praticano attività sportiva a livello professionistico, che non hanno lesioni particolarmente invalidanti, consigliamo di fare una buona terapia e di ricorrere all'intervento solo quando ci siano delle limitazioni nella normale vita di relazione.

Mastectomia

Un altro intervento riabilitativo post operatorio che ci viene richiesto sempre più frequentemente riguarda pazienti di sesso femminile con esiti di interventi al seno.Riteniamo opportuno fare alcune premesse anatomiche e patologiche prima di affrontare il problema, quanto mai delicato, della riabilitazione.
La mammella
Le ghiandole mammarie derivano dalla pelle per crescita verso l'interno di sottili dotti che si ramificano nel tessuto grasso sottocutaneo. La mammella presenta al suo apice una sporgenza cutanea detta capezzolo, circondata da una zona di cute di colorito più scuro, detta areola. La mammella riceve sangue arterioso dai rami dell' arteria succlavia, dell'arteria ascellare e delle arterie intercostali. Il sangue venoso refluo viene drenato nelle vene omonime.I linfatici mammari sono schematicamente divisibili in tre gruppi: un gruppo laterale, uno mediale ed uno retromammario, che fanno capo rispettivamente ai linfonodi ascellari, ai linfonodi della catena mammaria interna ed ai linfonodi sopraclaveari.L'organo mammario poggia sulla parte anteriore del torace. Il supporto scheletrico del torace è costituito dallo sterno, dalle coste e dalle 12 vertebre toraciche. I muscoli che rivestono la gabbia toracica sono: anteriormente il gran pettorale e più profondo il piccolo pettorale.Il trattamento chirurgico, in caso di tumore al seno, prevede una terapia demolitiva ed una terapia conservativa a seconda dei casi e delle problematiche.

TERAPIA DEMOLITIVA

Mastectomia semplice
Consiste nell'amputazione della sola mammella senza demolizione dei piani muscolari sottostanti e senza svuotamento dei linfonodi ascellari.

Mastesctomia radicale secondo Halsted
Prevede la rimozione dell'intera mammella, dei muscoli piccolo e grande pettorale e di tutti i linfonodi ascellari

Mastectomia radicale modificata secondo Patey
Prevede l'asportazione della mammella, dei linfonodi ascellari e del muscolo piccolo pettorale con la conservazione del grande pettorale. Negli ultimi anni la procedura si è ulteriormente modificata con la conservazione di entrambi i muscoli.

Mastectomia bilaterale
Poiché il tumore del seno può presentarsi in entrambe le ghiandole, anche in tempi diversi, alcune donne subiscono il doppio intervento e sono quindi costrette ad indossare due protesi.

TERAPIA CONSERVATIVA:
la chirurgia conservativa prevede l'asportazione di una parte dell'organo.

Quadrantectomia
Con questa procedura viene rimossa una porzione di mammella, nel cui contesto si trova il tumore, comprendendo anche la cute e la fascia del grande pettorale. L'asportazione dei linfonodi ascellari, se necessaria, può essere effettuata attraverso la stessa incisione o con un'altra piccola incisione ascellare

Tumorectomia
Comporta la semplice rimozione del tumore, associando o meno la rimozione dei linfonodi.
Questi tipi di intervento sono sicuramente meno traumatici per la donna.L'asportazione parziale del seno riduce drasticamente le complicanze funzionali del torace e dell'arto superiore, causando però asimmetria dei seni.Il problema estetico è facilmente risolvibile consigliando la donna l'utilizzo di protesi parziali.
C'è da dire che fortunatamente negli ultimi anni la terapia ricostruttiva sta compiendo notevoli progressi; a causa dell' abbassarsi dell'età in cui viene diagnosticato e trattato il tumore della mammella, sempre più frequenti sono le donne che intendono sottoporsi a terapia ricostruttiva. E' fondamentale che il carcinoma permetta di mantenere il tessuto cutaneo e sottocutaneo per uno spessore di circa 5 cm, in modo da garantire l'irrorazione ematica. La terapia ricostruttiva consente di ricreare l'organo utilizzando degli elementi diversi dalla ghiandola mammaria.
Si parla di impianto AUTOGENO quando vengono utilizzati lembi miocutanei della paziente; esistono due sistemi di ricostruzione che prevedono la rotazione o il trasferimento di parti del tessuto cutaneo e muscolare da una parte all'altra del corpo:
il lembo muscolocutaneo del gran dorsale;
il lembo muscolocutaneo del retto addominale.

Gli interventi con tessuto autologo sono indicati nei casi di ricostruzione di seni di grosse dimensioni.

Si definisce ETEROGENO l'intervento che prevede l'utilizzo di protesi. In questo caso vengono utilizzati vari tipi di protesi che sono morbide, comprimibili, riempite di liquido o gel, di varie dimensioni . In un'alta percentuale dei casi la ricostruzione con protesi richiede una mastoplastica di adeguamento del seno controlaterale.Gli interventi che consentono l'utilizzo di protesi, riguardano la ricostruzione di seni di piccole medie dimensioni.

Quando viene asportato un seno, il torace modifica la sua struttura in relazione a due fattori importanti: il peso dell'organo e l'estensione dell'amputazione ai piani muscolari.La conseguenza dell'intervento chirurgico determina una variazione di peso tra i due emitoraci. Laddove è presente l'organo mammario superstite la colonna è sottoposta ad un maggiore lavoro rispetto la parte priva. Questa condizione provoca nel tempo un vizio di posizione della colonna con relativi problemi legati alla respirazione, al movimento, alla comparsa di artrosi dorsali e algie; problematiche che peggiorano quando la donna presenta un seno di grosse dimensioni (quindi più pesante).
Se poi consideriamo che nella donna operata al seno possono subentrare, in tempi più o meno brevi, osteoporosi ed ipotono muscolare dovuti alla menopausa, è chiaro che il problema della mancanza dell'organo non si limita più ad un solo fatto estetico ma diviene una problematica clinico-assistenziale da affrontare al pari di altre situazioni.L'osteoporosi e l'ipotono muscolare, anche se ben diversi come fattori, provocano entrambi un indebolimento funzionale della cassa toracica, sia per indebolimento della struttura ossea, sia per diminuzione del sostegno della parete muscolare.

LINFEDEMA

L'edema dell'arto superiore, che può manifestarsi dopo mastectomia radicale, è una delle complicanze che merita di essere ricordata per l'importanza che assume nella riabilitazione della donna.L'edema è causato dalla difficoltà dello scarico linfatico, conseguente all'asportazione delle stazioni linfatiche ascellari; può arrivare a quadri di elefantiasi dell'arto. Il drenaggio linfatico migliora progressivamente quando si vengono a costituire i circoli collaterali . Per ottenere una riabilitazione anatomico funzionale completa, occorre insegnare la mobilizzazione corretta alla donna: fin dalle prime ore dopo l'intervento la donna deve mobilizzare braccio e spalla ; gradatamente la donna compirà movimenti di abduzione e rotazione interna ed esterna dell'omero e movimenti di elevazione e depressione della spalla (sarà sufficiente insegnare la donna a toccare la scapola controlaterale tornando più volte alla posizione di partenza, come anche a sfiorare il fianco opposto facendo passare il braccio anteriormente e posteriormente).In situazione di riposo dell'arto superiore poggerà su un cuscino per favorire il drenaggio linfatico; verrà sconsigliato di mantenere a lungo il braccio abbandonato al fianco.In seguito la donna dovrà seguire un programma fisioterapico che potrà comprendere massaggio e linfodrenaggio, sia attraverso l'apposito macchinario sia manualmente; qualora sia necessario verrà consigliato un bendaggio elastico.
E ' estremamente importante curare, con attenzione e delicatezza e possibilmente insieme ad altri operatori qualificati, l'aspetto psicologico che deriva dal nuovo rapporto che la donna deve iniziare con il suo corpo modificato.E' importante ribadire quanto delicato sia l'intervento di amputazione del seno, totale o parziale, sia per la causa che lo ha richiesto, che per il cambiamento estetico, sessuale, sociale che ne deriva.La donna operata al seno si trova a combattere inizialmente contro un nemico feroce, improvviso, veloce: il cancro. Le prime preoccupazioni che affliggono una donna colpita da carcinoma mammario sono urgenti, riguardano la prognosi, l'operazione chirurgica, la terapia citostatica successiva. La donna desidera al più presto eliminare il "nemico": il seno in cui è comparso il tumore.Dopo l'intervento sopraggiunge la consapevolezza dell'amputazione ed uno stato di profonda frustrazione si impadronisce della donna: si è diverse da prima, si è diverse da tutte le altre donne, si è persa l'armonia fisica nel delicato meccanismo della comunicazione sessuale; non c'è età che possa essere dispensata da questi e altri turbamenti.Subentra, accanto alla depressione, un senso di colpa che rende la donna rabbiosa per aver permesso che il suo corpo si ammalasse, per aver permesso ad un carcinoma di aver invaso il proprio seno, per essersi quindi ridotte a donne non più donne. Così cresce la rabbia verso sé stesse, rabbia che si manifesta nei confronti di se stessa ma a volte anche nel rapporto con i propri cari, che può compromettere i rapporti di coppia, che modifica le abitudini sociali.Per quanto ci riguarda quindi dobbiamo utilizzare, insieme alle tecniche riabilitative, anche molto tatto sia per sdrammatizzare la situazione sia per motivare la paziente ad accettare comunque la nuova situazione e diventare soggetto indispensabile del programma riabilitativo.