sabato 16 luglio 2005

Patologie Traumatiche


Introduzione

Negli ultimi 30 anni è notevolmente aumentato il numero di persone che fanno attività sportiva, sia a livello agonistico che a livello amatoriale. Sono quindi molto più diffuse tutta una serie di patologie che prima erano legate unicamente all'attività agonistica in senso stretto. Oltre ai vari atleti professionisti curati soprattutto durante la nostra collaborazione con il CONI, agli atleti delle varie squadre cittadine, molti sono stati e sono i pazienti che praticando attività sportive a livello amatoriale ricorrono alle nostre cure per una serie di problemi che rientrano nel campo delle patologie traumatiche.
Importanti sono ovviamente le caratteristiche traumatiche delle lesioni che sottintendono lo studio del momento, della tipologia della localizzazione e del meccanismo lesivo in causa. Possono essere suddivise in acute, se legate ad un singolo episodio macrotraumatico (fratture, distorsioni, lesioni muscolari dirette), ed in croniche, se invece correlate ad episodi microtraumatici ripetuti nel tempo (tendinopatie, condropatie, fratture da stress, distorsioni lievi inizialmente non curate).
Le lesioni traumatiche si possono ulteriormente distinguere in due grandi categorie secondo la loro origine; quelle da cause esterne, di cui è tipica la contusione, e quelle di origine interna in cui è il muscolo stesso che crea il proprio traumatismo con una contrazione esagerata o mal collocata nel tempo; a seconda della loro gravità, queste lesioni saranno l'allungamento, lo stiramento e lo strappo.

Traumatismi di origine esterna

La contusione muscolare assume nello sportivo un aspetto un po' particolare poiché, il più delle volte, colpisce un muscolo in piena contrazione, quando le fibre sono al massimo della loro tensione. In tale condizione, queste fibre si strappano facilmente ed esiste assai spesso, oltre al focolaio di contusione con il suo ematoma ed il suo infiltrato, una vera e propria lacerazione muscolare che, in definitiva, si traduce in una lacerazione muscolare aggravata da una contusione: il trattamento sarà, d'altronde, lo stesso di quello che si addice allo strappo muscolare.I segni clinici della contusione sono noti: dolore vivo, che causa una impotenza immediata, gonfiore e tumefazione pastosa e dolorosa del punto contuso, alle volte vera fluttuazione profonda che rivela l'esistenza di un ematoma cospicuo, libero in mezzo a fibre dilacerate; ritroveremo tutti questi segni nella lacerazione muscolare.La diagnosi è evidente perché il colpo ricevuto viene sempre denunciato talvolta con veemenza. L'agente contundente è spesso "penetrante" e ciò può provocare alcune piccole lesioni periostee che spiegano la frequenza di calcificazioni post-traumatiche. D'altra parte si può dire che nell'atleta l'evoluzione, il trattamento e le complicazioni eventuali della contusione avranno un andamento uguale a quello che si osserva nella lacerazione muscolare.

Traumatismi di origine interna

Non sono in realtà che gradi diversi di uno stesso fenomeno, con trazione esagerata per intensità o per velocità, che si instaura spesso su di un muscolo in atteggiamento normale, a causa di un gesto compiuto in assenza di un adeguato sostegno posturale, di un tentativo di correzione di una perdita di equilibrio, su un muscolo mal riscaldato o affaticato; in sintesi, c'è l'attivazione di un muscolo che non si trova in condizioni fisiologiche perfette, per direzione delle forze, per stato di irrorazione, per contrazione o decontrazione mal regolate.
L'allungamento rappresenta il grado più semplice. Il dolore è acuto, improvviso ma non determina una impotenza immediata, spesso persino la continuazione della competizione è possibile pur con una molestia dolorosa che comporta una diminuzione della prestazione ma anche un probabile aggravamento.Alla palpazione il muscolo è sensibile più che dolente, per tutta la sua estensione, senza che esista un punto netto di massima sensibilità. Questo muscolo è moderatamente contratturato; a riposo il dolore è quasi completamente assente e non compare che con la mobilizzazione attiva. Si tratta semplicemente di un muscolo che ha oltrepassato i suoi limiti di elasticità, ma questo superamento è stato armoniosamente distribuito, per cui esiste solo un danno fisiologico, non guasti anatomici.Ciò spiega la sensibilità su tutta la sua estensione e l'assenza di dolore a riposo.L'evoluzione favorevole e rapida (da due a tre giorni con trattamento), conferma l'assenza di lesioni anatomiche; è sufficiente perciò aiutare questo muscolo a ritrovare il suo valore fisiologico essenzialmente migliorando la sua irrorazione sanguigna. Il calore (impacchi, bagni di luce, infrarossi, alta frequenza raddrizzata o onde corte), il massaggio blando, non traumatizzante, effettuato con pomate (in genere usiamo quelle a base di eparina), permettono una rapida ripresa dell'attività. Utilizzando correnti eccitomotrici (bassa frequenza modulata, media frequenza interferenziale), al limite della contrazione palpabile, è ugualmente possibile far recuperare rapidamente a questo muscolo un tono normale (spesso bastano due-tre sedute).L'essenziale è lasciare questo muscolo ad un relativo riposo per permettergli di recuperare le sue qualità prima di pretendere da esso che lavori di nuovo.Il sollecitare fortemente un muscolo in stato di allungamento conduce senz'altro all'aggravamento ed alla instaurazione di lesioni anatomiche (stiramento o lacerazione).Al contrario, un riposo assoluto è altrettanto sconsigliabile perché ritarda un completo recupero.
La contrattura non è altro che l'esagerazione di un fenomeno banale dovuto ad un lavoro eccessivo, la mialgia da fatica e si traduce in una sensazione sgradevole, più che veramente dolorosa.Questo muscolo è effettivamente contratturato, sensibile alla palpazione e soprattutto dolente e scarsamente efficiente, o addirittura perturbatore al momento dell'attività sportiva che giustamente richiede una coordinazione eccellente.Il trattamento sarà uguale a quello dell'allungamento.In queste situazioni, insieme al medico , occorre usare molta attenzione; infatti, bisogna guardarsi dal considerare come allungamento o contrattura alcuni incidenti muscolari sicuramente minimi ma accompagnati da lesioni anatomiche, poichè il trattamento e la condotta da tenere per quanto riguarda la possibilità di ripresa dell'allenamento, sono notevolmente differenti. L'anamnesi accurata già di per sè orienta per la diagnosi, perchè laddove nello stiramento e nella lacerazione esiste la conoscenza di un momento in cui è insorto il dolore, momento descritto con una precisazione tipicamente sportiva, nell'allungamento e nella contrattura questo dato viene a mancare: il dolore è insorto subito dopo una' seduta di allenamento, o subito dopo la competizione, o tre ore più tardi, oppure l'indomani, ma in ogni caso non viene mai precisato nel tempo o nell'azione.
Nello stiramento sono rotte soltanto alcune fibre muscolari, il dolore è vivo, intenso, l'impotenza immediata e marcata. Alla palpazione si riscontra, talvolta, che l'intero muscolo è sensibile (talvolta, ma non sempre, perchè lo stiramento non è necessariamente preceduto da allungamento). In ogni caso, si trova però sempre un punto preciso, nettamente localizzato, decisamente doloroso. In alcuni casi particolari, muscolo superficiale o piano osseo sottostante, la palpazione attenta permette di apprezzare il piccolo nodulo che sta a denunciare l'ematoma; la presenza di questo ematoma sarà comunque poi confermata dalla comparsa, sia pure tardiva, di una ecchimosi spesso modesta, che va ricercata e che compare, di frequente, a distanza nel punto di affioramento delle guaine aponeurotiche. Il ritrovamento di questo segno è importante perchè convalida l'esistenza della lesione anatomica e di conseguenza orienta il trattamento e soprattutto fornisce indicazioni circa la data di ripresa dell'attività.Il dolore localizzato è continuo, è presente a riposo e si esacerba alla mobilizzazione. Qualche volta si può sentire il nodulo di stiramento tra due dita, pizzicando il muscolo durante la sua contrazione volontaria e questa manovra risveglia un dolore acuto.
Per la lacerazione muscolare , o strappo, la diagnosi è evidente: sono rotte parecchie fibre ma, eccezionalmente, si tratta di una rottura completa; il dolore violento, intenso, impone un arresto immediato dell'attività, l'impotenza è considerevole e qualche volta immobilizza il segmento dell'arto colpito. Sin dall'ispezione si può spesso notare l'aumento localizzato, globoso del volume dell'arto, e una palpazione che dovrà essere prudente, perchè molto dolorosa, permette di apprezzare un voluminoso ematoma, talvolta fluttuante, che potrà dare, secondariamente, una impressione di crepitio a tipo di neve; l'ecchimosi sarà precoce, cospicua e comparirà nella zona stessa della lacerazione.Seguendo regolarmente nel tempo questa lacerazione, si sentirà la zona colpita, dapprima semi-fluttuante, poi pastosa, evolvere verso una organizzazione fibrosa che dà luogo ad una nodosità dura, perfettamente palpabile.Questa osservazione attenta e continuativa è importante, perché una notevole ripresa di attività potrà essere permessa soltanto quando qualsiasi traccia di nodosità sarà scomparsa. Comportarsi in altro modo significa esporsi agli inconvenienti ben noti di stiramenti o lacerazioni recidivanti per rotture ricorrenti di una cicatrice ancora male stabilizzata o definitivamente fibrosa e quindi non elastica. Questo stato di cose può rendere necessario un intervento chirurgico per rimuovere questo vero e proprio corpo estraneo intramuscolare; intervento non solo utile ma, talvolta, necessario.Più raramente, ma non eccezionalmente, si assiste alla calcificazione di questo ematoma. Una terapia intempestiva, tra l'altro massaggi troppo precoci e rudi, possono favorire la comparsa di questa complicazione che, d'altra parte, è, come abbiamo già accennato, propria delle contusioni. Ma questi casi più rari sono ben conosciuti e necessitano, come gli osteomi intramuscolari, l'exeresi chirurgica del nodo calcificato.Sul piano terapeutico, e questo vale per le contusioni, per gli stiramenti e per le lacerazioni, il primo atto è l'arresto dell'attività; la necessità di ridurre, in questi casi, la mobilità può consigliare addirittura l'immobilizzazione al fine di non aggravare o completare i danni sollecitando un muscolo già danneggiato.Spesso, in situazioni un po' gravi e soprattutto in atleti professionisti, di concerto con il medico, ci si troverà bene a utilizzare dei miorilassanti per 2-3 giorni, associandoli agli enzimi atti a favorire i processi di riassorbimento, somministrati per via orale.Se il traumatizzato viene visitato precocemente, raccomandiamo l'applicazione locale di ghiaccio (almeno 1 ora al mattino e alla sera per 2-3 giorni di seguito) allo scopo di limitare l'ematoma e di analgesizzare la regione. Anche le onde elettromagnetiche pulsanti danno buoni risultati poiché favoriscono il processo di cicatrizzazione.Al momento in cui la nodosità si è organizzata ed è divenuta già solida, si possono somministrare farmaci vasodilatatori per aumentare al massimo l'irrorazione di questo tessuto cicatriziale. L'alta frequenza raddrizzata e le onde corte danno, in questo caso, risultati molto soddisfacenti e questa terapia verrà continuata per circa una settimana.Soltanto in un secondo tempo si potrà praticare il massaggio dolce, non traumatizzante e, se la nodosità sembra persistere, si ricorrerà alla ionizzazione iodurata locale che, associata al massaggio, permetterà di guadagnare un tempo apprezzabile "defibrosando " questa zona.L'indispensabile rieducazione muscolare verrà iniziata solamente quando si sarà sicuri della riparazione anatomica definitiva. In effetti, si tratta di un muscolo colpito anatomicamente e messo a
riposo funzionale; esso presenta dunque, necessariamente, un certo grado di atrofia. Il che è tanto più vero quando si tratti del muscolo di uno sportivo. Questo fatto, apparentemente paradossale, si spiega facilmente ove si consideri che i muscoli di un atleta sono in realtà muscoli artificiali, frutto di allenamento, motivo per cui la perdita del tono-trofismo muscolare sarà più rapida e, soprattutto, la differenza tra lo " stato normale " e quello " post-traumatico " sarà molto più marcata che nel soggetto normale, non sportivo.Qualora non venisse trattata, questa atrofia muscolare avrebbe una duplice conseguenza: un indebolimento globale del muscolo, favorente le recidive, ma soprattutto una alterazione della statica articolare per squilibrio tra la attività tonica e quella fasica dei muscoli che si inseriscono intorno all' articolazione più vicina.Ciò comporta una ripetizione di micro-distorsioni che mantengono l'atrofia muscolare per via riflessa (esempio: piede piatto ipotonico, idrartro e gonalgia recidivante).La rieducazione, spesso iniziata con una ginnastica elettrica misurata, sarà essenzialmente attiva e fatta di parecchie sedute brevi che non portino mai alla stanchezza, ma ripetute spesso nel corso della giornata; valgono più dieci sedute di 6 minuti che una sola seduta di un 'ora.Quando il muscolo sarà perfettamente riparato sotto l'aspetto anatomico e funzionale ( soprattutto insegnando anche esercizi di propriocettività), si autorizzerà una ripresa di attività normale e totale.Riassumendo, lo schema di trattamento di una di queste lesioni muscolari traumatiche sarà dunque il seguente:
- limitare l'ematoma e la lacerazione: ghiaccio, riposo, (sul consiglio del medico eventualmente farmaci miorilassanti, enzimi che favoriscono il riassorbimento, se il soggetto è un professionista);
- attendere fino ad ottenere una cicatrice solida;
- " rimuscolarizzare" questa cicatrice;
- rieducare.

Ci sembra inutile quanto superfluo dare tutte le localizzazioni possibili di queste lesioni perchè tali localizzazioni sono funzione della specialità sportiva, motivo per cui tutto è possibile (ciò vale soprattutto per la contusione).Tuttavia è bene segnalare che la grande maggioranza di questi incidenti, stiramenti e lacerazioni, si localizzano a livello degli arti inferiori, con una predilezione per i muscoli ischio-tibiali, il che depone per una insufficienza di questi muscoli in confronto al quadricipite e permette dunque di indirizzarsi verso un trattamento preventivo mediante rafforzamento muscolare. Seguono, per frequenza, gli incidenti al tricipite surale (più particolarmente al gemello mediale) ed infine quelli agli adduttori.

Tendiniti

Sempre più frequentemente ci si trova ad affrontare il problema delle tendiniti.Certamente è difficile darne una definizione anatomica o anatomo-patologica, poichè da un lato mancano spesso reperti anatomo-patologici e dall'altro questo termine si riferisce, in realtà, a un certo numero di affezioni differenti; tendiniti propriamente dette interessanti elettivamente il corpo tendineo: achilleo, rotuleo, capo lungo del bicipite; teno-sinoviti; teno-periostiti; malattie delle inserzioni nel giovane, per esempio la malattia di Osgood Schlatter.La tendinite, nel senso lato del termine, è largamente diffusa nel mondo sportivo agonistico ed amatoriale ma ha registrato un aumento spettacolare negli ultimi decenni per quanto riguarda la frequenza e, a volte, la gravità.Si manifesta all'inizio soprattutto con un dolore: un dolore lungo il percorso dell'inserzione di un tendine, dapprima episodico, che poi si instaura ed aumenta rendendo progressivamente impossibile qualsiasi pratica sportiva. Soltanto successivamente si vedranno comparire fenomeni di tipo infiammatorio, edema (calore) e più tardivamente ancora fenomeni più localizzati, noduli sclerotici (palpabili), e rigidità del tendine che dà una impressione dì sclerosi.Sembra che in un primo tempo si abbia a che fare con una semplice sofferenza del tendine o della sua inserzione. In un secondo tempo questa sofferenza provocherebbe, per via riflessa, fenomeni vasomotori di tipo infiammatorio.In un terzo tempo la persistenza di queste turbe vasomotorie porterebbe a turbe nutritive di tipo degenerativo (noduli sclero-cicatriziali), fino alla " fragilizzazione" globale del tendine.Questa " fragilizzazione" del tendine porta dunque alla rottura tendinea, spesso per un gesto che non dovrebbe avere alcuna conseguenza.Le cause sono certamente molteplici; vari Autori mettono in risalto:- il ruolo di turbe nutrizionali o metaboliche;- il ruolo di focolai di infezione locale agenti a distanza attraverso un meccanismo di tipo allergico.Generalmente però la causa prima di una tendinite è l'aggressione meccanica da surmenage del tendine o della sua inserzione.Anche qui i fattori in gioco sono molteplici: aumento globale dell'allenamento; apporto di nuove tecniche di rafforzamento muscolare, talvolta, nello sport agonistico, completate da tecniche farmacologiche il cui effetto è ancora poco conosciuto e che certamente rafforzano i muscoli ma che ben poco possono rafforzare i tendini; turbe articolari statiche modeste ma frequenti, che sottopongono i tendini a uno sforzo supplementare; esistenza di "errori tecnici" nell'esecuzione di un gesto sempre più complicato, che impongono sforzi articolari e tendino-legamentosi al limite della fisiologia normale; l'impreparazione fisica globale dell'uomo d'oggi, sempre più sedentario e che, nello sport, anche fatto per divertimento, chiede brutalmente la massima efficienza ai propri muscoli e la massima tensione ai propri sistemi di trasmissione tendinea; nuovi rivestimenti del suolo che favoriscono la velocità, ma che sono perciò meno ammortizzanti.

Trattamento delle tendiniti
Il primo provvedimento sul quale conviene insistere è, anzitutto, il riposo; certamente ciò è quanto di più difficile si possa ottenere in particolare da parte dell'atleta professionista e dei suoi dirigenti, ma sta di fatto che all'epoca in cui le tendiniti erano rare, mal conosciute e in cui non esisteva per esse un trattamento codificato, guarivano tutte senza sequele grazie al riposo, che allora era inevitabile e spesso prolungato.Ciò non significa, ben inteso, che oggi si deve prevedere soltanto il riposo. Un trattamento ben condotto può far guadagnare un tempo apprezzabile, ma senza riposo qualsiasi trattamento è illusorio per non dire dannoso.
Nella prima fase di semplice dolore, d'accordo con il medico, verranno utilizzati con successo gli analgesici e gli antiflogistici locali (per ionoforesi se possibile) o generali, per via orale.Bisogna riconoscere che attualmente questa prima fase raramente cade sotto osservazione, perché lo sportivo professionista o meno continua, malgrado tutto, il suo allenamento e si presenta generalmente nella seconda fase, nettamente infiammatoria.Spesso vengono nel nostro studio pazienti che in una prima fase hanno utilizzato gli anti-infiammatori locali sotto forma di corticoidi iniettabili (infiltrazione). Questi preparati sono stati accusati di molti misfatti e presentati come dannosi e suscettibili di favorire le rotture.Noi riteniamo, per la nostra esperienza e per quanto si può rilevare in letteratura, è sempre opportuno limitare l'uso dei corticoidi iniettabili, che comunque vanno usati solo in situazioni estremamente particolari ed iniettati da medici veramente esperti.La fisioterapia e le diverse modalità di elettroterapia (correnti modulate di bassa frequenza, ionoforesi, ultrasuoni, onde centimetriche o onde elettromagnetiche pulsanti) sono un mezzo terapeutico importante.Nella terza fase, in cui si hanno fenomeni degenerativi incipienti, noduli sclerotici palpabili, sclerosi globale del tendine, l'adozione di uno schema terapeutico presenta maggiori difficoltà.Gli insuccessi saranno più frequenti, tanto che in certi casi, essendo questo uno stato di prerottura, bisognerà prendere in seria considerazione l'ipotesi di una chirurgia riparatrice preventiva e consigliare un chirurgo esperto.Nella fase della rottura appare logico un solo atteggiamento: la riparazione chirurgica.Non risulta in letteratura che si mai verificato che una rottura, anche parziale, sia guarita e abbia permesso una ripresa dell'attività.Al contrario, l'intervento praticato da un chirurgo esperto e seguito da una adeguata rieducazione, permette sempre la ripresa dell'attività sportiva.
In conclusione, il trattamento delle tendiniti si potrebbe riassumere nel modo seguente:- il riposo necessario, quando occorra, e per il tempo che occorre;- il trattamento che occorre, adeguato ad ogni caso, e per il tempo che occorre;- attendere infine il tempo necessario prima di una ripresa commisurata e progressiva dell'allenamento.
Prendiamo in esame, ovviamente in modo estremamente schematico, alcune delle tendinopatie che trattiamo con più frequenza, tenendo sempre ben conto che qualunque protocollo di trattamento non può prescindere dalla situazione del singolo paziente.

Epicondilite

E' una affezione assai diffusa , caratterizzata da dolore nella regione laterale del gomito in corrispondenza dell'epicondilo.È stata chiamata "tennis elbow" perchè riscontrata con una certa frequenza nei tennisti. Tale denominazione è ormai entrata nell'uso comune, anche se colpisce, oltre agli sportivi, anche coloro che magari per lavoro sollecitano in modo eccessivo i muscoli epicondilei.Nell'epicondilite la palpazione deve ricercare con estrema accuratezza la sede esatta del dolore (epicondilo, interlinea articolare radio-omerale).Il dolore in genere si manifesta in un modo insidioso, progressivo e nei tennisti di solito compare dopo un cambiamento di racchetta, specie se non equilibrata o con una nuova accordatura con corde maggiormente tese, specie se di nylon. Solo raramente il dolore compare improvvisamente, dopo un colpo non centrato nel quale la palla ha impattato il bordo della racchetta.Il dolore può essere diffuso sulla regione laterale del gomito oppure localizzato in corrispondenza dell'epicondilo o, più in basso e posteriormente, nell'interlinea radio-omerale. Compare nel corso della pratica sportiva per attenuarsi con il riposo; ma con il passare del tempo l'esercizio diventa impossibile ed il soggetto lamenta un netto dolore al risveglio mattutino anche dopo alcune ore di immobilità notturna. Esso, inoltre, compare in alcuni momenti della vita quotidiana; aprire una porta, riempire un bicchiere sostenendo una bottiglia piena, bloccare una vite, potare una pianta, annodarsi la cravatta, stringere la mano di un conoscente, diventa estremamente doloroso, perfino impossibile.L'esame obiettivo deve ricercare con la palpazione i punti dolorosi specifici (epicondilo ed interlinea radio-omerale), ma soprattutto debbono essere effettuati dei test muscolari selettivi perché è estremamente importante, per la terapia, identificare il muscolo od i muscoli epicondiloidei interessati dalla flogosi inserzionale. Allo scopo si fanno eseguire movimenti di prono-supinazione dell'avambraccio, di estensione del polso e di abduzione del polso: tutti contro resistenza e ad avambraccio in estensione.La diagnosi differenziale va posta con la cosiddetta epitrocleite, affezione dolorosa della stessa natura che colpisce le inserzioni dei muscoli epitrocleari, specialmente nei giavellottistì. In questa affezione il dolore è molto localizzato ed assai vivo alla pressione. Vanno, inoltre, tenute presenti le irradiazioni dolorose di una discopatia o di un'artrosi cervicale. In questi casi il dolore può essere bilaterale ed irradiarsi ai muscoli della faccia laterale dell'avambraccio.
Nel caso siano già presenti delle calcificazioni paraepicondiloidee, il trattamento è prevalentemente chirurgico. Altrimenti il trattamento fisioterapico si basa sulla ionoforesi con sostanze antìnfiammatorie, gli ultrasuoni con pomate adatte, laser sui trigger points. Tutto questo, per fare regredire il dolore e ridurre l'estensione della flogosi, unitamente ad alcuni consigli che diamo al paziente :

· massaggiare i trigger points, dopo aver cosparso la zona del dolore con pomate a base di eparina o diclofenac, con un cubetto di ghiaccio per circa 15/20 minuti possibilmente 2/3 volte al giorno;
· stringere con un cerotto di carta ( o ancora meglio con del velcro) l'avambraccio all'altezza del terzo prossimale per evitare, soprattutto da un punto di vista psicologico, la massima contrazione in movimenti quotidiani come quello di stringere la mano o ruotare una chiave per aprire una porta.

Pubalgia

Con tale termine viene comunemente indicata una sintomatologia dolorosa della regione del pube; essa si presenta alcune volte diffusa, in altri casi ben localizzata all'inserzione dei muscoli adduttori della coscia.Numerosi sono i termini usati per identificare la stessa sindrome, sulla base delle diverse ipotesi etiopatogenetiche. Nella pubalgia il dolore è risvegliato sia dalla pressione sull'inserzione della muscolatura adduttoria sul pube, sia dalla adduzione della coscia contro resistenza.Negli atleti del calcio, rugby, scherma, equitazione, nei quali tale sintomatologia dolorosa si manifesta con una certa frequenza, la pubalgia dipende dalla flogosi inserzionale dei muscoli adduttori della coscia.Il dolore generalmente compare dopo una gara od un allenamento per scomparire dopo alcune ore di riposo. Ciò rende imprudente l'atleta che continua la sua attività provocando l'immancabile aumento del dolore che non scomparirà più con il semplice riposo.Tale dolore è localizzato alla regione inguinocrurale in prossimità della radice della coscia (mono o bilateralmente).Insorge nel corso della pratica sportiva, ma anche in alcuni movimenti della vita quotidiana come quello di incrociare le gambe o allacciarsi le scarpe stando seduti. Si esacerba con lo sforzo e può irradiarsi lungo il perineo o lungo l'arto inferiore. All'esame obiettivo bisogna ricercare attentamente con la palpazione il punto doloroso in corrispondenza della inserzione profonda degli adduttori, dopo aver posto il paziente con l'anca flessa ed abdotta. Lo stesso punto viene identificato anche con la adduzione contrastata delle cosce L'esame radiografico del bacino è di solito negativo; in alcuni casi può mostrare una irregolarità dei margini del pube che deve essere interpretata, a nostro avviso, come segno di sofferenza corticale dovuta alle continue tensioni muscolari determinate dal sovraccarico funzionale .Altre volte l'esame radiografico può mostrare i segni di un processo artrosico della sinfisi pubica, che nei calciatori può associarsi alla flogosi inserzionale degli adduttori Il riposo rappresenta il trattamento di elezione di tutta la patologia da sovraccarico funzionale e della pubalgia in particolare; riposo significa in senso lato anche fare attenzione a movimenti della vita quotidiana che possono accentuare l'infiammazione come andare sul motorino, scendere dalla macchina, e, memori di una esperienza di tanti anni fa, consigliamo eventuali rapporti sessuali in posizioni che non prevedano l'abduzione delle cosce.Oltre al riposo usiamo la ionoforesi sempre con antiflogistici, il laser sulla zona mioentesica mentre sul ventre muscolare applichiamo leggere stimolazioni elettriche .E'opportuno trattare anche il bacino, spesso squilibrato in tali situazioni, anche insegnando al paziente una serie di esercizi per riequilibrare tutta la muscolatura del bacino.

Talalgia e metatarsalgia

Il piede dello sportivo è sottoposto ad un sovraccarico funzionale che varia in rapporto all'intensità dell'allenamento ed ai terreni sui quali viene svolto.Il sovraccarico funzionale può venire perfettamente tollerato se il piede non presenta anomalie statiche evidenti, in assenza cioè di un piede cavo, supinato, trasverso piano, largo anteriore o francamente piatto.Viceversa, in presenza di tali anomalie si determina, anche in pazienti che non praticano attività sportive, la sofferenza dei tessuti nelle aree maggiormente sovraccaricate, con comparsa di una sintomatologia dolorosa più frequentemente localizzata al tallone (talalgia) o alla regione metatarsale anteriore (metatarsalgia).La talalgia, comunemente nota come "tallonite", colpisce frequentemente i calciatori ed i rugbysti che portano calzature con tacchetti che causano la contusione del tallone in varie occasioni di gioco.L'azione micro-traumatica ripetuta determina una flogosi del tessuto cellulare sottocutaneo. Il dolore può impedire l'attività sportiva e l'esame obiettivo basato sulla palpazione suscita una dolorabilità diffusa del calcagno oppure localizzata in un punto preciso sulla faccia inferiore dello stesso.E' consigliabile, d'accordo con il medico, un'esame radiografico, eseguito comparativamente, per mettere in evidenza la presenza di una eventuale spina calcaneare. Nella terapia delle talalgie consigliamo sempre oltre al trattamento fisioterapico (correnti antalgiche e jonoforesi con sostanze antiflogistiche), l'adozione di un rialzo in gomma piuma limitato alla regione calcaneare (e, nei casi di sperone calcaneare, forato in corrispondenza dello sperone stesso) che ammortizzerà le azioni traumatizzanti causali.Di gran lunga più resistente al trattamento terapeutico è la metatarsalgia, che costituisce l'insieme delle sofferenze dolorose dell'avampiede. Essa colpisce frequentemente i mezzofondisti, i fondisti, i marciatori, i pentathleti, ma non risparmia i giocatori di basket, pallavolo, tennis, scherma, e le persone che non praticano attività sportive.Il dolore si localizza alle teste metatarsali e si instaura progressivamente; la sua insorgenza è favorita da una alterazione statica dell'appoggio (piede cavo supinato e largo anteriore) che non si effettua più come di norma, sulla 1^ e 5^ testa meta-tarsale, ma a livello della testa del 3° o del 4° metatarso.Nella pratica sportiva si determina da una parte la sollecitazione micro-traumatica a livello della testa del 3° e 4° metatarso e dall'altra, favorita in parte dal tipo di calzature, lo slargamento dell'avampiede con conseguente appoggio non più digito-plantare, ma fondamentalmente metatarsale.L'esame obiettivo si basa sulla ricerca dei punti dolorosi e sull'esame del piede e della pianta.La terapia si basa anche in questo caso sul trattamento fisioterapico (correnti antalgiche, ionoforesi con sostanze antiflogistiche, radar e massaggio); soprattutto è utile l'applicazione di un plantare in resina poliuretanica espansa realizzato con impronta dinamica, mediante calco in gesso.Tale plantare è flessibile, leggero, elastico e permette di ottenere lo scarico metatarsale e la correzione dell'alterazione statica del piede.Esso, inoltre, si dimostra particolarmente utile nella prevenzione di alterazioni dolorose del piede e se ne consiglia l'adozione da parte di persone predisposte a tali affezioni a causa delle loro alterazioni statiche.

Tendinopatia achillea

Il tendine d'Achille è sede di sindromi dolorose che possono andare da una sofferenza occasionale e transitoria, che insorge in genere dopo una marcia o una corsa effettuate su terreno irregolare e calzature inadeguate, fino ad un dolore continuo che può insorgere improvvisamente o gradualmente. Nelle varie attività sportive ne sono particolarmente colpiti i mezzofondisti, i fondisti, i marciatori.Le diverse localizzazioni e la diversa patologia del tendine d'Achille provocano generalmente la stesa sintomatologia dolorosa, per cui una diagnosi differenziale fra le varie forme è possibile più con mezzi strumentali (radiografia a raggi molli, radiografia ma soprattutto ecografia) che con l'esame obiettivo.Il dolore insorge di solito dopo un periodo di allenamento effettuato su terreni duri (manto stradale) ovvero se l'atleta ha svolto il suo allenamento variando spesso terreno dall'asfalto stradale al terreno accidentato, a quello di materiali sintetici a restituzione elastica.Durante tali allenamenti già di per sè intensi, un cambiamento di ritmo può essere la causa ultima che determina la comparsa di dolore, in genere unilaterale, localizzato sulla porzione media del tendine o sulla sua inserzione calcaneare.Esso diminuisce con il riposo; basta però che il tendine entri in funzione, come nel semplice atto di salire o scendere le scale, perchè la sintomatologia ricompaia accompagnandosi talvolta anche ad una modesta zoppia.L'esame obiettivo si basa sulla palpazione comparativa del tendine che permette di localizzare la sede del dolore e di notare l'eventuale aumento di spessore del tendine in toto, la presenza di piccoli noduli nel suo contesto o quella di una tumefazione in corrispondenza della borsa achillea.L'esame radiografico a raggi molli e la xeroradiografia eseguiti comparativamente possono mettere in evidenza la opacità o la riduzione del triangolo di Kager (spazio di tessuto cellulo-adiposo della forma di un triangolo delimitato anteriormente dal margine osseo della tibia, inferiormente dal calcagno e posteriormente dal tendine d'Achille stesso) o infine l'ispessimento in toto del tendine achilleo.In tale affezione gli esami clinici e strumentali consentono una corretta diagnosi di sede e di natura della patologia achillea e quindi è possibile orientare correttamente la terapia.In tutte le manifestazioni patologiche achillee inizialmente consigliamo sempre di far riposare il tendine, senza ricorrere al blocco vero e proprio che a sua volta potrebbe causare altri problemi; per fare questo usiamo il taping: mediante una fasciatura, limitiamo la flessione dorsale del piede; il nastro agisce come un secondo tendine di Achille sopportando gran parte delle sollecitazioni durante la deambulazione. Invece quando la sintomatologia dolorosa è ormai cronica, ovvero sia presente l'aumento di spessore del tendine, è consigliabile prendere in considerazione, d'accordo con il chirurgo, prima l'immobilizzazione mediante stivaletto gessato per tre/quattro settimane e successivamente, permanendo l'impotenza e la sintomatologia dolorosa, l'intervento chirurgico.Ma a parte queste situazioni estreme e non frequenti, ottimi risultati si raggiungono , insieme al taping, con la fisioterapia; ionoforesi, ultrasuoni, laser, elettrostimolazioni leggere dei gemelli.

Distorsioni

Gli incidenti articolari sono indubbiamente gli incidenti più frequenti nel mondo sportivo. Tutti gli sport espongono a questo tipo di incidenti e vi sono esposte tutte le articolazioni.Ricordiamo la definizione classica della distorsione: "la distorsione è l'insieme delle lesioni prodotte a livello di una articolazione da un movimento forzato di allontanamento momentaneo dei capi articolari, che non arriva alla lussazione ".Si può fin d'ora far rilevare che talvolta nell'ambiente sportivo, data la rapidità dell'azione e la buona validità dei muscoli periarticolari, un certo numero di distorsioni, secondo alcuni Autori, altro non sono, in realtà, che lussazioni transitorie spontaneamente ridotte. Anche in questo caso un interrogatorio paziente e minuzioso permetterà all'infortunato abituato a ben sentire i propri muscoli e le proprie articolazioni, di indicare con precisione tale fenomeno.Per tornare alla distorsione, si può, in via schematica, dire che ci si trova di fronte a lesioni legamentose, con fenomeni vasomotori secondari e lesioni muscolari riflesse.Le turbe vasomotorie, nel senso più largo dell'espressione, saranno periarticolari o intrarticolari :- periarticolari: si tratterà di edema con o senza ecchimosi; tale edema, sia esso globale oppure localizzato, permette di farsi un'idea della gravità delle lesioni;- intrarticolari: sarà talvolta difficile metterle in evidenza, ciò dipendendo dall'articolazione colpita, ma il loro accertamento e la loro natura (idrartro o emartro) rivestiranno una importanza non trascurabile nel bilancio totale della lesione articolareLe lesioni legamentose devono essere perfettamente precisate perchè il trattamento si orienterà in modo diverso a secondo del loro grado. Tale precisione verrà conseguita attraverso l'anamnesi, spesso trascurata, e attraverso un bilancio minuzioso dell'ampiezza e della qualità dei movimenti articolari normali o anormali. Questo bilancio clinico sarà utilmente completato da un bilancio radiologico per mezzo del quale si potranno obbiettivare e valutare questi movimenti anormali, lassità o cassetti.E' sempre bene premettere che, quando le lesioni sono importanti ed evidenti, è consigliabile inviare subito il paziente dal chirurgo per le valutazioni del caso; in particolare questa può essere la norma per una articolazione piatta e mal protetta come il ginocchio, mentre la tibio-tarsica richiederà maggiore riflessione data l'eccellente qualità dei muscoli periarticolari e la loro perfetta educazione propriocettiva. Quando invece le lesioni capsulo-legamentose non sono così gravi, noi riteniamo, che il trattamento di scelta anche per lo sportivo debba essere un trattamento fisioterapico intensivo, che permetta una ripresa rapida dell'attività , per conseguenza, il recupero di una buona qualità muscolare che garantisce la contenzione periarticolare e previene, perciò, le recidive. Il primo intervento, nelle lesioni acute, deve essere effettuato con il ghiaccio per almeno 24 ore; consigliamo sempre al paziente, se possibile, di tenere l'arto in posizione acamantica, anche e soprattutto durante il riposo a letto; se si tratta del ginocchio, consigliamo un asciugamano arrotolato sotto il cavo polpliteo, per mantenere l'arto in leggera flessione; nel caso della caviglia è opportuno posizionare un cuscino
sotto il tricipite e lasciare il piede fuori del letto e senza coperte sopra, per evitare qualsiasi movimento che possa causare ulteriori danni.Dopo le prime 24 ore generalmente facciamo un taping in leggera flessione, se si tratta del ginocchio, mentre nella caviglia blocchiamo la prono-supinazione, permettendo la flesso-estensione e soprattutto il carico sul tallone, importantissima pompa idraulica e quindi indispensabile per far circolare meglio sangue e linfa nelle strutture lesionate, accelerando i tempi di guarigione. A tale trattamento associamo l'elettroterapia nei diversi tipi, la ionoforesi con antiflogistici, il laser; non appena la scomparsa del dolore lo permette, consigliamo la ripresa di una attività muscolare guidata e controllata, che permetterà di evitare i postumi dovuti ad una atrofia e ipotonia dei muscoli periarticolari. Riteniamo essenziale insegnare esercizi di propriocettività, per stimolare i tessuti nervosi interessati dalla lesione.Ci sia consentito, per concludere questo discorso sulle distorsioni, di ricordare una massima che ha ancora corso: " una buona frattura è preferibile ad una cattiva distorsione". Noi non siamo d'accordo con questa opinione; non esistono cattive distorsioni, ma esistono, tuttora effettivamente, distorsioni mal diagnosticate , mal curate o trattate in modo superficiale.Anche per le distorsioni, non potendo esaminare tutti i possibili distretti interessati ed i relativi protocolli di intervento, ci soffermiamo sulla distorsione sicuramente più diffusa, quella della caviglia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

caro dottore le sue informazioni sono preziose io soffro da quasi un anno di epitrocleite ma sia cortisone che laser che hydoforesi o pomate varie non mi hanno dato nessun beneficio, mentre da diversi anni ho una tendinosi dell'achilleo che spero di aver risolto recentemente con le onde d'urto.....dico spero percè ho ripreso a correre da poco in maniera blanda per vedere come va....