sabato 16 luglio 2005

Fisioterapia Manuale

L' International Federation of Manual Medicine definisce la terapia manuale come "l'uso delle mani nel processo di trattamento del paziente, usando istruzioni e manovre per mantenere il massimo movimento non doloroso del sistema muscoloscheletrico in equilibrio posturale".Sono diversi i fattori che disturbano il delicato equilibrio strutturale dei tessuti molli e del sistema scheletrico: fattori di origine traumatica, posturale somatica e psicologica. Con il tempo, questo squilibrio può dare origine ad una serie di sintomi dolorosi, oppure a mancanza di energia, perdita di efficienza fisica e mentale, disturbi cardiovascolari, ipertensione, ecc.

L'obiettivo della medicina manuale è aiutare a mantenere una meccanica ottimale del corpo e migliorare il movimento, attraverso trattamenti che cercano sia di recuperare la funzione meccanica articolare, sia di normalizzare i sistemi alterati in via riflessa. Le indicazioni per l'uso della medicina manuale sono in parte basate sulle teorie di come la medicina manuale funziona e comprendono (1) il recupero della normalità e della simmetria a livello del disco o della faccetta articolare; (2) il recupero in modo meccanico dell'ampiezza e della ottimizzazione del movimento del movimento muscolare e miofasciale per recuperare la funzione; (3) la trasmissione meccanica indotta dalla terapia del segnale afferente al midollo, che diminuisce la consapevolezza del dolore attraverso un effetto da teoria del cancello; (4) il rilascio di endorfina, che aumenta la soglia del dolore e ne diminuisce l'intensità; (5) l'effetto placebo. La selezione di una particolare tecnica o di un insieme di tecniche di medicina manuale o si basa sul disturbo da trattare e sui meccanismi teorici di azione di ogni modello di trattamento.
Massaggio
Graham nel 1884 definì il massaggio come "un gruppo di tecniche che sono in genere eseguite con le mani, come la frizione, l'impastamento, il rotolamento e la percussione dei tessuti esterni del corpo in una grande varietà di modi, in vista di un obiettivo curativo, o palliativo, o igienico.Il massaggio e la manipolazione hanno antiche radici in comune. In tempi più moderni sono state separate ma continuano a presentare una notevole area di coincidenza nella terminologia, filosofia e tecnica. Il massaggio è stato probabilmente il gesto con il quale i primi uomini provavano ad alleviare il dolore, tanto è istintivo il massaggiare una parte dolorante ed infatti è stato celebrato negli scritti di poeti, filosofi, storici e medici fin dai tempi antichi. La filosofia, la tecnica pratica e gli obiettivi del massaggio si sono evoluti attraverso i millenni e continuano a cambiare ancora oggi. Si discute molto ancora sull'etimologia della parola massaggio; molto probabilmente essa deriva dal "massa" arabo, toccare; il "massein" greco, impastare; oppure dal "makch " sanscrito, battere, comprimere o condensare.

I più antichi riferimenti all'uso del massaggio vengono dalla Babilonia, la Cina e l'India, ed in seguito dalla letteratura greca e romana. Attorno al 900 a.C. gli scritti medici assiro-babilonesi prescrivevano il massaggio per espellere i demoni e come ausilio per la guarigione . In Cina, l'uso documentato del massaggio risale al testo sul king che fu scritto nel 2700 a.C. Il Nei Ching, scritto all'incirca nel 100 a.C., sosteneva anch'esso il massaggio. L'Ayur Veda è il più antico scritto medico conosciuto in India (1500-2000) a.C. ed anch'esso fa riferimento all'uso del massaggio.I riferimenti al massaggio sono nella letteraura antica greca e romana. Ippocrate (460?-377? a.C.?) faceva riferimento al massaggio per per il trattamento di molte condizioni, affermando che "il medico deve essere eperto in molte cose, ma sicuramente anche nel frizionare, perché delle cose che hanno lo stesso nome non hanno gli stessi effetti. Perché la frizione può stringere un'articolazione che è troppo slegata e può slegare un'articolazione che è troppo rigida". Platone e Socrate parlano dei benefici di ungere con degli olii e frizionare come "metodo per alleviare il dolore". Il medico greco Asclepiade, considerato da alcuni il padre della medicina fisica, ha scritto ampiamente sui tre trattamenti più importanti che egli raccomandava: l'idroterapia, l'esercizio ed il massaggio. Galeno, altro medico greco che si stabilì a Roma, scrisse molto sull'esercizio ed il massaggio.

Nel Medio Evo, sotto la guida morale delle autorità cristiane, lo sdegno per la nudità e per la cura del corpo, gettarono discredito sul massaggio come su altre metodiche. Il periodo di oscurantismo terminò con l'avvento del Rinascimento. Una serie di medici nel XVI, XVII e XVIII secolo usarono e scrissero sul massaggio come trattamento positivo della malattia e ne promossero l'uso e lo studio.
La terminologia oggi più frequentemente usata può essere fatta risalire a Per Henrik Ling (1776-1839), un insegnante svedese di educazione fisica. Ling adottò i termini francesi per i vari tipi di massaggio tradotti dagli scritti dell'antichità; classificò e sistematizzò una serie di movimenti dei tessuti molli e poi delle articolazioni. Usò termini come rotolamento, schiaffeggiamento, pizzicamento, scuotimento e vibrazione; molti hanno continuato ad occuparsi di massaggio, come il tedesco Cornelius che sviluppò per primo il concetto di trattamento con il massaggio delle zone riflesse o come Elisabeth Dicke che con i suoi studi sul massaggio del tessuto connettivo ha contribuito notevolmente a sviluppare il concetto di massaggio delle zone riflesse.

Gli effetti del massaggio
sono meccanici, riflessi, neurologici e psicologici. Ogni massaggio stimola una combinazione di questi effetti. L'ampiezza e le esatte caratteristiche di ognuno di questi effetti dipendono dalla tecnica impiegata e dalla maniera in cui essa viene applicata. Gli obiettivi del trattamento possono includere la sedazione, la riduzione delle aderenze, la mobilizzazione dei liquidi, il rilassamento muscolare ed i mutamenti vascolari. Il massaggio può essere utile con qualsiasi diagnosi nella quale potrebbero essere di beneficio al paziente la mobilizzazione dei tessuti, la riduzione dell'ipertono muscolare, il sollievo dal dolore o la riduzione di un gonfiore. Gli effetti meccanici del massaggio sono i più evidenti, facilmente comprensibili, quantificabili e studiati. Essi si basano sul mobilizzare le fibre muscolari singole e nel comprimere i vasi sanguigni così da spremere meccanicamente il sangue e la linfa in direzione centripeta. Un massaggio profondo continuo in direzione disto-prossimale di un arto comprime la vascolarizzazione a bassa pressione ed aumenta il ritorno venoso. Poiché il sangue viene spinto dalla periferia verso il sistema venoso centrale, il flusso sanguigno arterioso aumenta e fluisce più liberamente nei letti capillari dei tessuti rimasti liberi. Un edema viene alleviato dall'aumento, indotto dalla pressione idrostatica del tessuto. La stasi vascolare è un fattore di rischio per la trombosi, l'edema e le morbilità ad essa conseguenti. Il massaggio può essere usato efficacemente per ridurre la stasi vascolare attraverso i meccanismi appena descritti. Il massaggio ha chiaramente effetti temporanei sul flusso sanguigno cutaneo. Questo può essere facilmente osservato attraverso il rossore iperemico della pelle dopo una vigorosa stimolazione cutanea, oppure attraverso il rigonfiamento delle vene di superficie prodotto dal frizionare la pelle sopra di esse. I meccanismi specifici responsabili dei cambiamenti del flusso sanguigno sono numerosi e non sufficientemente delineati. La stimolazione meccanica dei mastociti della pelle causa il rilascio dell'istamina. Il rilascio locale di istamina produce la tripla risposta di rossore, eritema e formazione di noduli nel punto di stimolazione cutanea. Sono probabilmente implicati anche dei cambiamenti riflessi neurologici autonomi.

Il sistema linfatico riporta la linfa e le macromolecole dall'interstizio al sistema vascolare; le tecniche di massaggio eseguite lentamente, con una pressione profonda e costante, possono mobilizzare il flusso linfatico. Nelle pareti dei vasi venosi e linfatici vi è la muscolatura liscia che è di aiuto nel muovere la linfa verso il centro. Tuttavia la contrazione ed il rilasciamento ciclici del muscolo scheletrico attraversato da questi vasi è uno dei principali meccanismi di progressione della linfa. Molte condizioni, dal dolore alla paralisi ed alla debilitazione impediscono una contrazione muscolare sufficiente a mobilizzarla. Il massaggio può essere usato come un sostituto delle contrazioni muscolari per aumentare il flusso venoso e linfatico in pazienti che sono in condizioni di immobilità. Il massaggio retrogrado viene frequentemente usato per controllare l'edema osservabile nell'emiparesi dopo un ictus, nella distrofia simpatica riflessa, o nel linfedema dopo dissezione dei nodi ascellari.Il massaggio profondo ha anche effetti sulla fascia e sui tessuti connettivi. La fascia circonda, infiltra e fornisce supporto al sistema muscoloscheletrico ed anche alla maggior parte degli organi viscerali. Delle restrizioni, microaderenze e cicatrizzazioni del sistema fasciale portano ad una diminuzione della mobilità muscoloscheletrica, alla contrattura ed alla conseguente stasi. Si ritiene che la fascia abbia delle proprietà colloidali che la mettono in grado di essere modellata ed estesa attraverso un pressione prolungata. Un massaggio profondo tipo frizione può ad esempio essere usato per trattare una ipomobilità della spalla secondaria a delle restrizioni miofasciali e tendinee, producendo un immediato aumento della mobilità e una diminuzione del dolore attraverso una diminuzione delle restrizioni fasciali.

E' stato dimostrato che il massaggio può facilitare il recupero della capacità muscolare di eseguire esercizi dopo aver raggiunto il punto di fatica attraverso il lavoro o la stimolazione elettrica. Il massaggio può anche aumentare la dispersione dei metaboliti attraverso i suoi effetti diretti sul flusso venoso e linfatico; il dolore si allevia quando la contrattura muscolare diminuisce ed i fastidiosi metaboliti vengono mobilizzati. Una volta rotto il ciclo auto-perpetuantesi di ipomobilità, stasi e dolore, i meccanismi di recupero possono completare il processo di guarigione.Sono state proposte anche delle reazioni riflesse del massaggio per spiegare alcuni dei suoi tanti effetti. I nervi afferenti portano delle informazioni dal sistema somatico al midollo spinale; questa informazione comprende la sensazione di dolore e la propriocezione, ed anche il feedback dal fuso muscolare e dagli afferenti autonomi.Quando una data parte del sistema somatico funziona male , vi è un prolungato aumento di input neurale afferente verso il midollo spinale a quel dato livello segmentale spinale. Viene ipotizzato che questo sbarramento continuo di aumentata informazione segmentale afferente abbia un impatto su altri elementi neurali allo stesso livello segmentale spinale, creando un "segmento spinale facilitato".

Un "livello segmentale spinale facilitato" ha una diminuita soglia di depolarizzazione di tutti i neuroni in quel segmento, a causa di un input neurale afferente eccessivo. Al segmento facilitato, ogni stimolo alla depolarizzazione neuronale afferente causa un esagerato flusso efferente in uscita. Questa ipotesi implica che tutti i tessuti somatici e viscerali possono essere influenzati negativamente se sono innervati da un segmento spinale che riceve informazione afferente da un'area di disfunzione somatica. Se ciò è vero, ne consegue che l'alleviamento di una disfunzione somatica attraverso il massaggio può risultare in una funzione ottimizzata dei sistemi somatico e viscerale che sono innervati dallo stesso segmento spinale.I cambiamenti neurali riflessi nei sistemi somatici attraverso il massaggio sono chiamati effetti riflessi "somatosomatici". I cambiamenti neurali riflessi nei sistemi viscerali attraverso il massaggio sono chiamati "somatoviscerali".

Molti tipi di massaggio
non si propongono di mobilizzare i liquidi, rilasciare le retrazioni miofasciali o scatenare effetti neurologici riflessi. Questi massaggi sono soprattutto piacevoli e rilassanti ed hanno il loro impatto maggiore sulla salute psicologica del paziente; un impatto positivo sullo stato psicologico del paziente sembra avere degli ampi benefici. La disciplina emergente della psiconeuroimmunologia costituisce un evidente segno dell'impatto favorevole che un atteggiamento mentale positivo produce sul sistema immunitario. Alternativamente, il dolore, la depressione, l'ansietà esercitano un effetto negativo sul sistema immunitario. L'esperienza sollevante e rilassante di ricevere un massaggio che non provoca dolore ed eseguito in maniera esperta può dare molto di più che un beneficio psicologico, benefici che sicuramente in futuro saranno più ampiamente documentati.

Il massaggio funziona attraverso una varietà di meccanismi e risulta benefico in una grande quantità di condizioni; i pazienti con lombalgia, cervicalgia, fibromialgia, artrite, borsite, tendinite , fascite e persino con dei neuromi, possono beneficiare delle tecniche del massaggio. Anche altre condizioni associate con la sclerosi multipla, la paralisi cerebrale, l'emiplegia e la tetraplegia, come la spasticità, la distrofia simpatica riflessa, l'edema e la contrattura, possono essere notevolmente migliorate.Delle tecniche specifiche per problemi respiratori possono aiutare le persone con problemi toraco-polmonari. Sono state riferite delle limitate applicazioni con le ulcere varicose, le infezioni a drenaggio localizzato e dopo trapianto cutaneo. Delle tecniche di massaggio più profondo possono essere di beneficio più tardi, dopo trapianto cutaneo, per prevenire o modellare il tessuto di cicatrizzazione. Il massaggio può anche rilasciare le aderenze profonde, le cicatrici e le contratture che seguono le amputazioni per migliorare l'adattamento delle protesi e diminuire alcune delle complicazioni derivanti dall'usura dovuta alla protesi.Tipi di movimento delle mani più comunemente usati nel massaggio terapeutico sono lo sfioramento, l'impastamento, la frizione, la percussione; ma esistono, e devono far parte del bagaglio professionale di ogni fisioterapista, altri tipi di massaggio come l'digitopressione, lo shiatsu, la riflessologia ed il Sindegowebsmassage (massaggio del tessuto connettivo).

La tecnica o, come si usava definire un tempo, l'arte del massaggio è un processo che richiede tempo per essere appreso. La pratica e la capacità naturale a "sentire" con le mani sono essenziali.Per questo occorre un vero e proprio allenamento che consiste, quando è possibile, nel massaggiare con gli occhi chiusi. E' un modo con il quale si impara a sentire veramente ciò che si sta toccando e si modifica sotto le nostre mani. Il corpo che tocchiamo è come la tastiera di un pianoforte; dobbiamo conoscere bene lo spartito che vogliamo suonare, ma la musica sarà tanto più vicina all'armonia quanto migliore sarà la nostra sensibilità nel toccare i tasti.E non bisogna mai dimenticare che massaggiare, toccare un altro corpo significa instaurare un vero e proprio rapporto fisico con il paziente; un rapporto primordiale basato sul tatto, senza la mediazione di altri linguaggi, fatto di sensazioni e di emozioni che si trasmettono e si ricevono. Sta alla nostra capacità personale e professionale trasmettere bene ciò che vogliamo e soprattutto "sentire" quello che il paziente, tramite il suo corpo, ci vuole, anche inconsciamente, comunicare.

Massaggio connettivale
Il massaggio connettivale non è altro che una forma particolare di reflessoterapia. Questo almeno per l'aspetto più interessante degli effetti che può indurre sull'organismo, perché come semplice metodo di stimolazione locale dei tessuti non si discosta molto da altre tecniche massoterapiche. La sua ideatrice, la fisioterapista tedesca Elisabeth Dicke, ideò questa tecnica dopo aver notato, attraverso l'esperienza empirica personale, che la trazione digitale dei tessuti sottocutanei in stato di tensione sortiva sorprendenti risultati di risoluzione di disturbi circolatori a carico degli arti inferiori. Massaggiando il fianco la Dicke notò infatti che riusciva a mitigare ed infine a risolvere una grave affezione circolatoria dell'arto inferiore omologo, per la quale i medici curanti già le avevano addirittura prospettato la possibilità di un'amputazione (1929).La Dicke stessa scelse il nome di massaggio connettivale per la tecnica da lei messa a punto, i cui cardini fondamentali erano la condizione di tensione dei tessuti sottocutanei e la metodica della sua risoluzione attraverso l'originale manovra massoterapica digitale.Nel 1938, con l'intervento del Kohlrausch e della Teirich-Leube, il massaggio connettivale veniva affidato alla ricerca scientifica e trovava quindi gradualmente la sua sistemazione su basi di rigorosa interpretazione fisiopatologica.Si appurò essenzialmente che a spiegare gli effetti di questa tecnica potevano essere di aiuto gli studi di Head e di Mackenzie dell'inizio del secolo, sui rapporti di innervazione tra cute, muscoli ed organi interni; venne sostanzialmente appurato che esistono riflessi nervosi tra connettivo sottocutaneo e visceri e si accreditava così il dato di fatto per cui:

- un viscere malato dà, come riscontro clinico, una variazione di tensione del tessuto connettivo sottocutaneo;- agendo con manovre appropriate sul sottocute in stato di tensione è possibile influenzare il viscere correlato con tale distretto connettivale.
Da queste premesse consegue che il massaggio connettivale è una pratica reflessoterapica che si prefigge di ricercare eventuali zone di sofferenza del tessuto connettivo sottocutaneo ed una volta scopertele, di trattarle opportunamente, in modo da risolvere nello stesso tempo lo stato di tensione connettivale e la sofferenza viscerale di cui tale tensione è espressione.La tecnica di massaggio connettivale ha quindi un duplice momento, quello diagnostico, volto a scoprire le eventuali zone di tensione e quello terapeutico mirante a risolvere lo stato di tensione stesso.

Massaggio shiatsu
Lo Shiatsu si basa sulla pressione dei pollici lungo il decorso delle diramazioni nervose. Solo eccezionalmente vengono usate le palme delle mani ed, esclusivamente per il viso, i polpastrelli delle altre dita.Mediante la pressione dei pollici sul decorso dei rami nervosi, lo Shiatsu si prefigge lo scopo di stimolare i centri nervosi affaticati o sovreccitati, per ottenere rilassamento, scioltezza e sensazione di benessere.L'applicazione di questa tecnica, conosciuta da oltre 2500 anni, si avvale di pressioni digitali più o meno intense a seconda delle regioni interessate. Quando il caso lo richiede, possono essere effettuati cicli di pressione sui singoli rami nervosi, al periodo di una compressione al secondo.Lo Shiatsu viene iniziato dai nervi craniali e viene proseguito , a paziente prono, sui tratti cervicali, dorsali, lombari e sacrali della colonna.Sono quindi sottoposti a terapia i grandi fasci nervosi degli arti inferiori. Successivamente, posto il paziente in posizione supina, si eseguono tutte le manovre previste per le regioni anteriori del tronco e degli arti. In totale lo Shiatsu prevede 780 centri nervosi sui quali deve essere applicato il trattamento.Le principali indicazioni dello Shiatzu sono:- distonia neurovegetativa;- atonia muscolare;- trattamenti post-traumatici a scopo antalgico e trofico.
Viene spesso in Giappone ribadito il concetto che il massaggio tradizionale si prefigge un'iniziale azione circolatoria, con tutte le successive conseguenze, mentre lo Shiatzu ha un'azione prevalente sui tessuti nervosi.

Manipolazioni
Gli scritti ippocratici ci tramandano la descrizione di manipolazioni della colonna vertebrale del tutto simili a quelle operate oggi. Nel suo trattato Le articolazioni, Ippocrate espone il modo di applicare la pressione delle mani per correggere gli spostamenti delle vertebre; raccomanda uno studio attento della colonna vertebrale e afferma che l'arte di agire manualmente sulle vertebre è antichissima. La storia della medicina infatti conferma l'antichità e la continua diffusione, dall'Egitto all'India, di pratiche nelle quali, oggi, si può riconoscere la preistoria delle attuali manipolazioni.Preistoria perché, come le altre branche della medicina, anche la tecnica manipolativa si è mantenuta ed evoluta per secoli, fino alla sua fondazione come scienza moderna, ad opera del dottor D.D. Palmer nel 1895.In conformità con la cultura dei suoi tempi, questi si era dato allo studio dei vari campi della medicina, da quello del sistema nervoso a quello delle forze magnetiche. Ma la sua esperienza di medico lo aveva portato a rifiutare la somministrazione indiscriminata di farmaci che, destinati alla guarigione di uno specifico organo malato, erano nocivi all'organismo nel suo complesso. L'esperimento decisivo, si dice, ebbe luogo nel settembre 1895, quando Palmer guarì un uomo che era sordo da quando 17 anni prima si era procurata una distorsione lavorando in una posizione forzata. Studiando la colonna vertebrale dell'uomo, Palmer si accorse che una delle vertebre superiori era dolorante e fuori posto. Trovò il modo di rimetterla manualmente nella posizione corretta, e il paziente riacquistò l'udito.Da questo episodio Palmer iniziò uno studio sistematico della colonna vertebrale. Quello che lo interessava era la meccanica della colonna vertebrale, nei suoi rapporti con le terminazioni nervose e i fasci muscolari. A poco a poco allargò la sfera dei mali che potevano essere curati rimettendo le vertebre in posizione corretta, e definì e precisò le tecniche manuali necessarie per questo compito.L'antica scienza dei "conciaossa" riceveva così, per opera di D.D. Palmer, la fondazione di una scienza moderna. Come ha scritto il dottor Stranger, essa si basa su un principio o legge, su una teoria, e si sviluppa mediante ipotesi, analogamente a qualsiasi altra conoscenza scientifica clinica (cioè verificabile nella pratica). Il principio, o legge generale della chiropratica, è quello ippocratico della omeostasi: l'organismo vivente ha la proprietà di ricostituire naturalmente il proprio stato di salute, se non è impedito. La teoria della chiropratica è che il sistema nervoso nel suo complesso - dal cervello fino agli organi del senso - stabilisce il rapporto dell'organismo con l'ambiente. L'ipotesi di ricerca, infine, è che esiste una relazione tra l'integrità funzionale del sistema nervoso e la salute dell'organismo in generale.A questo scopo teorico va aggiunta, come contributo di D. D. Palmer la relazione tra l'integrità del sistema nervoso e l'integrità del sistema scheletrico-muscolare.Al di là delle varie scuole, quella Americana, la Francese, la Tedesca e, da qualche anno a questa parte anche quella Italiana, si può dire che nel concetto di manipolazione si raggruppa un insieme di tecniche manuali per il trattamento delle articolazioni della colonna vertebrale e delle estremità che possono suddividersi schematicamente in:

- decontrazioni: interventi sulla muscolatura del distretto articolare interessato;- mobilizzazioni: interventi di ripristino della funzionalità articolare, con movimenti lenti e di grande ampiezza;- manipolazioni : interventi di rimozione del blocco con impulsi veloci e di piccola ampiezza.
Purtroppo si associa troppo spesso il concetto dell'intervento manuale sulle articolazioni al concetto generico di sblocco e al tanto atteso (dal manipolatore e dal paziente) rumore di scrocchio articolare. È assolutamente inesatto pensare che sia sufficiente lo scrocchio per ottenere l'effetto.L'uso delle tecniche manipolative presuppone una perfetta conoscenza dell'anatomia delle ossa, dei muscoli, delle articolazioni e dei legamenti e questo significa dover approfondire continuamente lo studio dell'anatomia funzionale delle articolazioni e dei muscoli, conoscere perfettamente la fisiologia e la fisiopatologia dell'apparato di movimento.
Un altro grande contributo ad una visione completa nell'approccio e nel trattamento del paziente, oltre alle tecniche chiropratiche del dottor Palmer, viene dalle tecniche osteopatiche messe a punto dal Dottor Andrew Taylor Still, fondatore della prima scuola di Osteopatia degli Stati Uniti a Kirksville, Missouri nel 1892.Nel concetto osteopatico la lesione è l'associazione di due o più disfunzioni, derivanti da cause interne o esterne o da fenomeni degenerativi vascolari, nervosi o linfatici, che limitano sempre di più "la libertà di movimento nel tempo" delle articolazioni, delle fasce muscolari e sierose e dei liquidi vitali del corpo.Per movimento non deve intendersi solo la mobilità di una vertebra o di un arto, ma anche la mobilità intrinseca dei visceri e la mobilità dell'asse neurale, conosciuta come " il meccanismo di respirazione primario".I concetti fondamentali dell'osteopatia possono essere così riassunti:
1. la struttura e le funzioni sono interdipendenti ; ciò significa che la forma di una determinata struttura è direttamente influenzata dalla funzionalità di quella parte anatomica o degli organi in essa contenuti; tale adattamento è dovuto anche all'influenza che una alterazione strutturale può avere sulla fascia o sul tessuto connettivale. Tutto ciò provoca una alterazione della funzionalità organica, ormonale, psicologica e immunologica di tutto il corpo.2. il corpo va inteso come unità di funzione; l'attenzione non va mai posta solo sulle regioni in cui il paziente manifesta il sintomo dolore, perché il sintomo non è che un effetto di una causa che può in alcuni casi essere lontana dal luogo della manifestazione.3. integrità del meccanismo articolare; l'integrità presuppone un movimento libero ed ampio di ciascuna delle sue parti, necessario per il buon funzionamento del sistema vegetativo autonomo che regola la vasomotricità (sistema simpatico).4. il corpo ha la capacità di autoguarirsi; non è il terapeuta che guarisce il paziente, perché il suo ruolo è quello di mettere il paziente nelle condizioni di riequilibrare una struttura o l'insieme dei sistemi per ridare al corpo la forza vitale per autoripararsi , ciò significa che il paziente diventa il soggetto del trattamento.5. la regola dell'arteria di Still; per una buona salute è essenziale una buona circolazione, il sistema venoso, arterioso e nervoso devono adempiere alle loro funzioni ed impedire ogni accumulo.
L'idea che il dottor Still aveva della salute del corpo umano era che questa poteva esistere solo quando tutte le strutture e sistemi lavoravano insieme nel mordo più armonioso possibile ed in sintonia con la mente e scriveva: "l'osteopatia è la regola del movimento, della materia e dello spirito, dove la materia e lo spirito non possono manifestarsi semza il movimento; pertanto il movimento è l'espressione della vita".
Praticare queste tecniche vuol dire saper affrontare il paziente, saperlo toccare per valutare ogni movimento articolare e ogni funzione muscolare; vuol dire esercitarsi a lungo, costantemente e con molta pazienza. Ogni disturbo e ogni dolore di origine articolare, muscolare, tendineo o legamentoso viene facilmente localizzato e spiegato nel contesto della funzionalità d'insieme del paziente. La terapia segue sempre il substrato eziopatologico e non quello sintomatico. È ovvio quindi che non è sufficiente applicare una pressione su un segmento articolare solo perché "lì qualcosa duole".Curare con le tecniche manipolative vuol dire prima di tutto valutare il paziente nel suo insieme, poi ridare il movimento ai segmenti articolari ipomobili, limitare il movimento ai segmenti articolari ipermobili, allungare i muscoli contratti, tonificare i muscoli indeboliti, rieducare il paziente ad una cinetica ottimale. Tutto questo sempre suffragato da una precisa diagnosi. In mani esperte queste tecniche costituiscono una delle terapie più efficaci in campo riabilitativo; in mani inesperte possono essere dannose ed a volte anche estremamente pericolose.

Terapia craniosacrale

La terapia craniosacrale, oltre che una vera e propria terapia, può anche essere considerata come un approccio terapeutico molto efficace basato su alcune osservazioni anatomiche, fisiologiche e cliniche. Per utilizzare la terapia craniosacrale nella diagnosi e nel trattamento è necessario possedere una particolare mentalità, ovvero considerare l'individuo come un sistema unitario ad alto livello di integrazione.Il sistema craniosacrale può essere definito, come recentemente è stato riconosciuto, un ' sistema fisiologico funzionale'.
Le parti anatomiche del sistema craniosacrale sono le seguenti:
1. Le membrane meningee.2. Le strutture ossee su cui si inseriscono le membrane meningee.3. Le altre strutture di tessuto connettivo non ossee strettamente collegatealle membrane meningee.4. Il liquido encefalorachidiano.5 Tutte le strutture connesse alla produzione, al riassorbimento e al contenimento del liquido encefalorachidiano.
Il sistema craniosacrale è strettamente collegato ai seguenti sistemi o apparati, che esso influenza e da cui viene a sua volta influenzato:
1. Il sistema nervoso.2. L'apparato locomotore.3. Il sistema circolatorio.4. Il sistema linfatico.5.Il sistema endocrino.6. L'apparato respiratorio.
La presenza di anomalie di tipo strutturale o funzionale in uno qualsiasi di questi sistemi può influenzare il sistema craniosacrale. Dall'altro lato, eventuali anomalie di tipo strutturale o funzionale presenti nel sistema craniosacrale avranno necessariamente effetti profondi (e spesso deleteri) sullo sviluppo o sulla funzionalità del sistema nervoso, soprattutto sul cervello. Il sistema craniosacrale fornisce 'l'ambiente interno' dello sviluppo, della crescita e dell'efficienza funzionale del cervello e del midollo spinale, dal momento della formazione embrionale fino al decesso.
Che cos'è il movimento craniosacrale?
Il sistema craniosacrale è caratterizzato da un' attività ritmica che dura per tutta la vita. Questo movimento craniosacrale è presente nell'uomo, in altri primati, canidi, felini e, probabilmente, in tutte (o quasi tutte) le altre specie di vertebrati. Esso è totalmente diverso dai movimenti fisiologici relativi alla respirazione, nonché dall'attività cardiovascolare. Può essere il meccanismo alla base del fenomeno di Traube-Herring (che è stato osservato, ma per il quale non esiste ancora alcuna spiegazione soddisfacente), o esservi strettamente collegato. Il movimento ritmico craniosacrale può essere facilmente avvertito palpando la testa. Con la pratica e sviluppando l'abilità palpatoria, tuttavia, può essere percepito in qualunque parte dell'organismo. La frequenza normale del ritmo craniosacrale negli esseri umani è compresa tra sei e dodici cicli il minuto (da non confondere con il ritmo Alfa del cervello, che presenta otto-dodici cicli il secondo). In presenza di patologie, è possibile osservare ritmi craniosacrali con frequenze inferiori a sei e superiori a dodici cicli il minuto.Nell'estate del 1979, John E. Upledger ha esaminato diversi casi di coma prolungato all'Istituto Loewenstein di Neurologia clinica di Raanana, in Israele. In diversi casi, il coma, provocato da anossia e lesioni intracraniche che interessavano il cervello, determinava quasi sempre una diminuzione di frequenza del ritmo cranico fino a tre o quattro cicli il minuto. In alcuni casi di coma dovuto a sovradosaggio di farmaci, la frequenza del ritmo cranico appariva superiore a dodici cicli il minuto. Questi ritmi sono stati percepiti con la palpazione della testa del paziente.È' stato osservato che i bambini ipercinetici presentano ritmi craniosacrali di frequenza superiore alla norma, analogamente a pazienti che soffrono di malattie acute accompagnate da stati febbrili. I pazienti in punto di morte o il cui cervello è stato danneggiato presentano spesso ritmi di frequenza inferiore alla norma. Man mano che le condizioni cliniche migliorano, il ritmo craniosacrale si avvicina a valori di frequenza normali.In circostanze non patologiche, la frequenza del movimento ritmico craniosacrale è piuttosto stabile; essa non presenta oscillazioni simili a quelle che si riscontrano nei ritmi dei sistemi cardiovascolare e respiratorio in risposta a esercizio fisico, emozioni, riposo, eccetera. Sembra quindi essere un valido criterio di valutazione delle condizioni patologiche.In circostanze che possono essere considerate normali, quest'attività ritmica si manifesta a livello del sacro come un lieve movimento di oscillazione attorno a un asse trasversale situato approssimativamente 2,5 cm. più avanti rispetto alla seconda vertebra sacrale. Il movimento oscillatorio del sacro è ritmicamente collegato all'ampliamento e al restringimento del diametro trasversale del cranio. Quando il cranio si allarga, l'apice del sacro si sposta in direzione ventrale. Questa fase del movimento è definita flessione del sistema craniosacrale. Il movimento opposto alla flessione è l'estensione. Durante la fase di estensione, la testa diminuisce la propria dimensione trasversale. La base del sacro si sposta in direzione ventrale, mentre l'apice del sacro si sposta in direzione dorsale.Durante la fase di flessione del movimento craniosacrale, l'intero corpo si atteggia in rotazione esterna e si allarga. Durante la fase di estensione, l'intero corpo si atteggia in rotazione interna e sembra restringersi leggermente. Il ciclo completo del movimento ritmico craniosacrale è dunque composto da una fase di flessione e una di estensione.Esiste una zona neutra o un rilassamento tra la fine di una fase e l'inizio della fase successiva di ogni ciclo. Questa zona neutra viene percepita come una breve pausa che si verifica dopo il ritorno dal limite massimo di una fase e prima che le forze fisiologiche passino alla fase opposta del movimento.
Una lunga esperienza permette di palpare il movimento craniosacrale in ogni parte del corpo. La valutazione palpatoria della frequenza, dell'ampiezza, della simmetria e della qualità del movimento craniosacrale fornisce rapidamente delle informazioni di grande valore diagnostico e prognostico. Questa efficacia diagnostica fu messa sotto esame presso l'Istituto Loewenstein: pazienti neurolesi vennero valutati mediante le tecniche di palpazione del movimento craniosacrale, sulla base delle quali vennero formulate delle diagnosi senza sapere null'altro del paziente. Esaminando accuratamente gli eventuali cambiamenti nel movimento craniosacrale, si riuscì a localizzare con precisione il livello midollare delle lesioni responsabili di paraplegia e tetraplegia in casi di poliomielite, sindrome di Guillain-Barré, tumori midollari e sezioni traumatiche del midollo spinale. Si localizzò inoltre la sede delle lesioni neurologiche intracraniche provocate da emorragie cerebrali, trombosi e tumori.Si osservò in quell'occasione che la frequenza del ritmo craniosacrale, in quelle parti dell'organismo che non erano più soggette all'influenza dei centri superiori del sistema nervoso centrale, era compresa tra i venti e i trenta cicli il minuto. Si può individuare quindi il punto di lesione del midollo spinale, ricorrendo alla palpazione per determinare il livello in cui il movimento ritmico si modifica nella muscolatura paravertebrale. La lesione midollare si trova in genere un paio di segmenti sopra il punto in cui si modifica il ritmo della muscolatura paravertebrale.

I muscoli denervati si contraggono ritmicamente venti-trenta volte il minuto, mentre i muscoli innervati si muovono seguendo il ritmo craniosacrale (compiendo, di norma, tra i sei e i dodici cicli il minuto).Una diminuzione di ampiezza del ritmo craniosacrale indica un basso livello di vitalità nel paziente, ossia che il paziente ha una scarsa resistenza, per cui aumenta notevolmente la predisposizione a contrarre malattie.
A volte, il ritmo craniosacrale avvertito alla palpazione della testa è due volte più veloce del normale, con una scarsa ampiezza, ma l'energia interna che guida il sistema craniosacrale sembra considerevole. Generalmente questo fenomeno viene interpretato come un sintomo della perdita di elasticità e di adattabilità al movimento craniosacrale da parte dei tessuti che contengono questo sistema idraulico (ovvero le meningi cerebrospinali). Di conseguenza il ritmo è raddoppiato di frequenza, mentre l'ampiezza si è ridotta di circa il 50 %. Ciò permette al movimento si svilupparsi normalmente nel tempo .Spesso si incontrano situazioni analoghe in caso di problemi infiammatori che colpiscono, o hanno colpito in passato, le meningi e/o il sistema nervoso centrale. Quest'anomalia clinica è inoltre frequente nei casi di autismo. Ciò può significare che l'autismo è stato provocato da un problema fisiologico precedente che ha colpito il sistema delle meningi, rendendolo meno elastico.
Si può considerare il sistema fasciale del corpo umano come una guaina di tessuto connettivo leggermente mobile e continua dalla testa ai piedi, che riveste tutte le strutture somatiche e viscerali presenti nell'organismo, suddividendole in sacche. Tenendo a mente questa considerazione, è evidente che ogni perdita di mobilità dei tessuti fasciali in una qualsiasi area può essere utilizzata per facilitare la localizzazione del processo patologico che ne è all'origine. In qualche modo, probabilmente attraverso il sistema nervoso, le strutture fasciali vengono normalmente mantenute in costante movimento, seguendo il ritmo craniosacrale. Tramite connessioni dirette e comuni punti d'inserzione ossea, le fasce extradurali e le meningi sono collegate le une alle altre e interdipendenti nel proprio movimento. Di conseguenza, la quantità di informazioni diagnostiche e prognostiche che si possono ottenere dall'esame della mobilità o della restrizione delle fasce è limitata solo dall'abilità palpatoria e dalle conoscenze anatomiche dell'esaminatore. E necessario prestare attenzione alla frequenza, all'ampiezza, alla simmetria e alla qualità del movimento craniosacrale ed ai suoi riflessi in tutto l'organismo.Mentre è ancora oggetto di discussione l'origine del movimento craniosacrale, la teoria secondo cui, in condizioni normali, il cranio è in costante movimento non è nuova: essa fu introdotta per la prima volta negli ambienti osteopatici nella prima metà del XX secolo.Quando era ancora uno studente della Scuola americana di Osteopatia di Kirksville, nel Missouri, agli inizi del XX secolo, William G. Sutherland fu colpito dalla disposizione anatomica delle ossa del cranio umano. Sutherland era dell'opinione che la loro disposizione fosse tale da favorirne il movimento, anche se gli era stato insegnato che, in un essere umano adulto normale, le ossa del cranio sarebbero fuse insieme saldamente da calcificazioni e che il movimento sarebbe dunque impossibile. Le uniche eccezioni a questo stato di immobilità del cranio umano sarebbero rappresentate dalla catena di ossicini dell'orecchio e dall'articolazione temporo-mandibolare. Gli anatomisti avevano insegnato a Sutherland, come viene insegnato spesso anche oggi, che il cranio si limiterebbe a svolgere una funzione protettiva ed ematopoietica.
Essendo fermamente convinto che tutte le strutture presenti in natura hanno uno scopo, Sutherland cominciò a pensare che le ossa craniche dovessero muoversi le une rispetto alle altre. Sicuramente, dallo studio dettagliato del cranio umano e delle relative suture emerge che queste ossa possono muoversi tra di loro.Un movimento ritmico craniosacrale che presenti un' asimmetria in tutto l'organismo può essere utilizzato per individuare problemi patologici di qualunque tipo, all'origine di perdita di mobilità fisiologica, come lesioni osteopatiche dell'apparato locomotore (disfunzioni somatiche), fenomeni infiammatori, aderenze, traumi con cicatrici, cicatrici chirurgiche, incidenti vascolari, eccetera. Sebbene non riveli la natura del problema, un movimento asimmetrico indica il punto in cui tale problema è presente. Una volta localizzato il disturbo, ci si deve basare su altri metodi diagnostici per determinarne l'esatta natura patologica. Un indicatore prognostico può essere il ripristino di un movimento craniosacrale simmetrico in una zona che presenti una restrizione di movimento. Una volta eliminata l'asimmetria e recuperata la mobilità fisiologica, si può affermare con sicurezza che il problema è stato risolto o è in fase di risoluzione.Quando ebbe una maggiore conoscenza del movimento cranico, eseguendo esperimenti su se stesso, Sutherland iniziò a provare su altri soggetti, palpando i loro crani. In breve tempo fu in grado di avvertire minuscoli movimenti ritmici del cranio di esseri umani di età diverse. Un primo reperto da lui rilevato alla palpazione fu il movimento sacrale, in sincronia con quello del cranio.Sutherland giustificò la sincronia ritmica del movimento tra cranio e sacro considerando la continuità della dura madre del midollo spinale, che ha una forma tubolare e collega saldamente l'occipite al sacro, con poche inserzioni ossee che ne limitano in modo significativo il movimento. Il suo ragionamento partiva dalla constatazione che il movimento dell'occipite, nel punto di unione tra la dura e il grande forame occipitale, deve necessariamente influenzare il movimento fisiologico del sacro, e viceversa, a meno che non siano presenti condizioni patologiche di restrizione.Egli elaborò in seguito una teoria in base alla quale lo sfenoide era la 'chiave di volta' dell'insieme delle ossa craniche. Lo sfenoide forniva la forza di propulsione che veniva trasmessa al resto del cranio attraverso le rispettive articolazioni con occipite, temporali, parietali, frontale, etmoide, vomere, palatini e zigomatici. (Esiste inoltre una relazione articolare non costante tra sfenoide e mascellare.) Partendo da questo presupposto, appare ovvio che una forza che muova lo sfenoide debba necessariamente provocare un movimento in tutte le ossa con cui esso si articola. Alcune ossa, come la mandibola, con cui lo sfenoide non ha un'articolazione diretta, vengono influenzate indirettamente dallo sfenoide attraverso i temporali o altre ossa. (Lo sfenoide influenza i mascellari tramite il vomere e i palatini.) Da un punto di vista meccanico, questo sistema di relazioni interossee con lo sfenoide come forza motrice è sicuramente plausibile.Riguardo alla possibilità che l'articolazione sfenobasilare si muova in un soggetto adulto sono stati espressi alcuni dubbi. Tuttavia, il movimento in questa articolazione è una parte fondamentale del modello funzionale di Sutherland. Nella fase iniziale dello sviluppo embrionale, l'articolazione sfenobasilare è una sincondrosi. Essa si trova immediatamente dietro alla sella turcica e davanti al grande foro occipitale, dove la prominenza posteriore del corpo dello sfenoide si unisce alla sporgenza anteriore della base dell'occipite. Questo sottile fascio di materiale cartilagineo mantiene probabilmente per tutta la vita un certo grado di flessibilità. Sutherland descrisse erroneamente quest'articolazione come una sinfisi e utilizzò quindi le caratteristiche delle sinfisi per ipotizzare la possibilità che tra sfenoide e occipite si effettuino dei movimenti di traslazione, così come di torsione, lateroflessione e flessoestensione.È concepibile pensare che i movimenti di torsione, lateroflessione e flessoestensione possano avere luogo se viene mantenuta una certa flessibilità tra lo sfenoide e l'occipite. La traslazione presente tra sfenoide e occipite (quello che Sutherland chiamò strain laterale o verticale) è, tuttavia, un fenomeno molto difficile da concepire se lo si riferisce a un'articolazione che, in effetti, non è una sinfisi.Dal punto di vista istologico, è più corretto definire l'articolazione sfeno-basilare come una sincondrosi. Essa mantiene un certo grado di flessibilità per tutta la vita. E' probabilmente più corretto pensare che le anomalie della posizione o della relazione anatomica tra le componenti della sincondrosi sfenobasilare siano conseguenze di disfunzioni delle suture della base cranica e/o di tensioni anomale nel sistema di membrane della dura madre. Le anomalie della funzionalità sfenobasilare probabilmente non sono una conseguenza secondaria diretta dell'alterazione dei rapporti anatomici tra lo sfenoide e l'occipite. La dura madre è saldamente inserita sulle ossa della volta e della base cranica, così come il periostio e l'endostio. Per questo motivo, eventuali tensioni anomale che siano esercitate sulle meningi vengono trasmesse alle varie ossa su cui esse si inseriscono, alterandone il movimento funzionale.Nel modello di Sutherland, lo sfenoide veniva considerato come la forza di propulsione del movimento delle ossa craniche. Inevitabilmente, ci si deve chiedere: "Che cos'è che fa muovere lo sfenoide?" Secondo la teoria di Sutherland, lo sfenoide si muove in risposta all'oscillazione circolatoria del liquido encefalorachidiano ed ai suoi effetti sul sistema delle membrane intracraniche. Egli era dell'opinione che la falce cerebrale, le falci del tentorio e la falce cerebellare facessero parte di un sistema di membrane di tensione reciproca che rispondeva alle fluttuazioni della circolazione del liquido encefalorachidiano, imprimendo allo sfenoide il suo movimento ritmico alla base cranica. Secondo Sutherland, all'origine del movimento vi era la ritmica contrazione ed espansione del sistema ventricolare del cervello. Egli considerava il cervello come la fonte primaria della forza che determina il movimento del sistema craniosacrale.

Quest'osservazione è di fondamentale importanza, e le ricerche successive hanno largamente confermato questo modello. In generale, la scienza moderna sta iniziando a dimostrare che il modello di Sutherland è in gran parte corretto, anche se è piuttosto difficile sostenere il concetto di Sutherland relativo alla contrazione ritmica del cervello come forza di propulsione che determina il movimento di aumento e di diminuzione della pressione del liquido encefalorachidiano. Non è possibile ritenere che i tessuti del cervello abbiano la forza elastica necessaria per agire come una pompa idraulica che aumenta ritmicamente la pressione del liquido all'interno di questo sistema idraulico semichiuso. In secondo luogo, sebbene le cellule gliali in vitro si muovano ritmicamente, il loro movimento ha una frequenza pari forse a un decimo di quella che si può osservare nel sistema craniosacrale. Non sembrerebbe quindi possibile confermare l'ipotesi secondo cui una contrazione ritmica del cervello sia alla base del movimento del sistema craniosacrale, utilizzando le osservazioni inerenti ai movimenti delle cellule gliali. E' vero che il movimento delle singole cellule in vitro può essere molto più lento delle stesse cellule in vivo, ma esso può anche essere molto più veloce. Non si può quindi accettare come prova il movimento delle cellule gliali in vitro.Un'alternativa all'ipotesi di contrazione ritmica del cervello potrebbe essere il modello del 'pressostatore', in cui si deve semplicemente supporre che la secrezione del liquido encefalorachidiano da parte dei plessi corioidei situati all'interno del sistema ventricolare sia molto più rapida rispetto al riassorbimento dello stesso liquido nella circolazione venosa a opera dei corpi aracnoidei. Questi corpi sono concentrati soprattutto nel sistema dei seni venosi endocranici. Probabilmente, la maggior parte del riassorbimento avviene nel seno venoso sagittale.Se si ipotizza che la produzione di liquido encefalorachidiano sia due volte più rapida del relativo riassorbimento, quando la produzione si attiva per un certo periodo di tempo si raggiunge una soglia di pressione più elevata. Una volta raggiunta questa soglia superiore, la secrezione di liquido encefalorachidiano viene interrotta da qualche meccanismo omeostatico. Il riassorbimento del liquido encefalorachidiano rimane costante sia durante la fase di produzione sia dopo l'interruzione. Di conseguenza, quando la secrezione di liquido si interrompe, la pressione diminuisce, a causa della costante riduzione del volume all' interno del sistema idraulico. Quando si raggiunge un livello di soglia inferiore, la produzione di liquido encefalorachidiano viene riattivata e la pressione del liquido all'interno del sistema craniosacrale comincia di nuovo ad aumentare. In questo modo si crea un movimento ritmico di aumento e diminuzione della pressione del liquido che, a sua volta, provoca dei cambiamenti ritmici dei tessuti che delimitano questo sistema idraulico semichiuso.A questo punto, sembra che vi siano almeno due meccanismi.
1. Dopo aver individuato che le suture del cranio si muovono costantemente, negli esseri umani adulti e in altri primati, e dopo aver identificato fibre elastiche e collagene, nonché plessi nervosi e vascolari all'interno delle suture, sembra del tutto plausibile supporre la presenza di un riflesso di stiramento nelle suture stesse. Quando la pressione del liquido all' interno del cranio provoca l'apertura di una sutura fino a un determinato punto, viene attivato un riflesso intrasuturale di stiramento che invia al sistema venrticolare del cervello il messaggio per interrompere la produzione di liquido encefalorachidiano. Quando questo sistema giunge a termine e i bordi della sutura iniziano ad avvicinarsi e, alla fine, comprimono i tessuti che si trovano al suo interno (mentre si riduce la pressione del liquido intracranico), viene trasmesso al cervello un altro messaggio, per riavviare la secrezione di liquido encefalorachidiano. Ciò aumenterà, di conseguenza, la pressione del liquido e ridurrà la compressione intrasuturale.Tenendo presente questo meccanismo, sono state avviate varie ricerche, che hanno avuto esito positivo, sul sistema di comunicazione tra la sutura e il sistema ventricolare del cervello. Si è infatti riusciti a rilevare, nelle scimmie, la presenza di singoli assoni che percorrono lo spazio tra la sutura sagittale e la parete del terzo ventricolo del cervello, passando attraverso le meningi. Questa ricerca istologica fornisce i presupposti anatomici necessari per corroborare la tesi appena descritta.
2. Nella descrizione del seno retto che si trova nella Gray 's Anatomy ( 39^ Edizione inglese), viene menzionato un corpo di granulazione aracnoidea che sporge dal pavimento del seno retto nel punto di unione con la grande vena cerebrale. Questo corpo contiene un plesso sinusoidale di vasi sanguigni che, tumefacendosi, agiscono come una valvola a sfera, che può poi controllare il flusso in uscita dalla grande vena cerebrale, la quale, a sua volta, aumentando la pressione di ritorno, influenza la secrezione di liquido encefalorachidiano da parte dei plessi coroidei dei ventricoli laterali. Il drenaggio venoso di queste regioni del cervello è assicurato dai vasi cerebrali che si immettono nella grande vena cerebrale.

Si può ipotizzare che queste strutture funzionino come supporto di un altro meccanismo, grazie al quale la produzione di liquido encefalorachidiano è sotto controllo omeostatico. Si ritiene infatti che sia proprio il meccanismo del 'pressostatore' a causare il movimento ritmico di dilatazione e contrazione del sistema ventricolare del cervello, piuttosto che una qualche proprietà contrattile del tessuto cerebrale stesso. In effetti, l'osservazione del tessuto cerebrale di esseri umani viventi in situ mostra questo suo movimento ritmico. Tuttavia sembra più ragionevole ritenere che il sistema ventricolare del cervello stia rispondendo a variazioni di pressione del liquido encefalorachidiano, invece di provocarle tramite contrazione.E.A. Bunt, neurochirurgo sudafricano, ha sviluppato autonomamente un modello simile durante delle ricerche condotte nel campo dell'idrocefalia idiopatica normotensiva. Bunt ha mostrato delle stratigrafie seriate dei ventricoli laterali e del terzo ventricolo che rilevano un cambiamento di volume di circa il 50% durante la dilatazione e la contrazione dei ventricoli laterali del cervello, con una frequenza di sei cicli il minuto in un pa-ziente normale. Bunt ritiene che il 'pressostatore' costituisca un modello attendibile.

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